L’attuale crisi ripiena di crisi (ambientali, economiche finanziarie, politiche e geopolitiche, sociali, culturali) ha portato molti di noi ad intuire che e’ un intero modo di stare al mondo, quello storicamente occidentale, a non funzionare piu’.
Ribadisco il termine, ‘non funzionare piu” significa che il sistema e’ in crisi ontologica, il motore e’ rotto, la carrozzeria si sfascia, l’impianto elettrico e’ andato fuori uso e rumori, cigolii e sussulti ci dicono: c’e’ bisogno di una nuova macchina.
Questo, al netto delle opinioni etico politiche noi si abbia sul sistema, e’ un fatto che riguarda tutti i fruitori del sistema, tutti i cittadini e quindi le societa’ degli stati nazione dell’area occidentale.
E’ cio’ che si suol dire ‘un fatto’. Si tento’ 40 anni fa, con la famosa decisione estiva di Nixon del 1971 di truccare il motore e con un veloce restyling di look di ridare un futuro alla macchina stanca ma oggi vediamo che non si puo’ far diventare giovane una struttura la cui architettura risale a presunte leggi della natura economica, vergate da mano umana piu’ di tre secoli fa.
I corsari sono diventati trader, la Royal Navy e’ diventata la poderosa macchina da guerra statunitense, la City ha figliato Wall Street, la creativita’ macchinista di Arkwright & Co si e’ trasformata in una capillare rete di centri ricerche ed universita’, i libertini son diventati liberali e poi liberisti e la Bank of England e’ divenuta sistema, l’Impero formale ha assunto un tono casual ed immateriale.
Ma ora, i tempi di questa continua inflazione delle dimensioni di un sistema nato trecento anni fa in un’isola di 5 milioni di abitanti, sono finiti.
C’e’ un limite nella dimensione che puo’ assumere un sistema la cui genetica nasce in condizioni di bassa complessita’, soprattutto quando cio’ che piu’ significativamente cambia e’ proprio l’indice di complessita’ esterna (e interna) al sistema.
E che il mondo sia cambiato e’ piuttosto evidente. Un miliardo e mezzo di individui sul pianeta all’inizio dello scorso secolo, sono diventati 4 volte tanto ed anche piu’, con una accelerazione esponenziale nella sola seconda meta’ del secolo.
Tra quaranta anni saranno cresciuti di un fattore 6. L’Occidente che inizio secolo pesava poco meno del 30%, oggi vale demograficamente meno della meta’ di allora e tende a diminuire, arrivera’ presto ad una sola cifra percentuale.
Semplicemente, non possiamo piu’ considerare il mondo come il passivo serbatoio di materie, energie, mano d’opera a basso costo, mercato di scarico delle eccedenze, che esiste solo per dare vita, forza, energia al motore economico che produce ricchezza per noi, l’Occidente.
Cosi la ricchezza dell’Occidente non solo decresce ma tendenzialmente decrescera’ sempre piu’ velocemente sino a fermarsi ad un pavimento a livello di maggior equilibrio con l’ambiente circostante (dato da parametri geopolitici, ecologici, geoeconomici ). All’Occidente questo non piace, al suo onnipotente delirio basato sulla negazione della morte e quindi del limite, basato sulla metafisica e sulla religione dell’infinito e dell’eterno, tutto cio’ rimane estraneo. Una gigantesca operazione di rimozione prometeica della realta’ lo tiene continuamente impegnato a curare sempre piu’ nevroticamente la crescita, l’innovazione, la competitivita’, il tecno armamento, l’individualismo possessivo, l’egoismo accumulatorio, l’hobbesiano bellum omnium contra omnes che dal ‘600 rimane la legge del comportamento tra le nazioni nella tradizione occidentale che va da Locke ad oggi.
Gia’, l’oggi. Davvero crediamo che oggi la questione sia quella di difendersi dal nevrotico conato neoliberista che vorrebbe il ‘sempre di piu’ mercato’ – ‘sempre meno stato’ ? O non e’ forse giunto il momento di guardare con (poco) comprensiva commiserazione questi signori che si ostinano a rimuovere costantemente la realta’ di un mondo che non li prevede piu’? Non e’ forse giunto il momento di dirgli ‘descansate niño ‘ e cominciar a condurre noi la questione dell’ordine del giorno ?
La questione del debito e’ diventata magicamente la questione centrale del mondo occidentale qualche mese fa e fra qualche settimana scomparira’, una volta che i G20 si rassegneranno a sganciare i fondi per salvare banche e debiti sovrani perche’ altrimenti salta il banco e tutti i giocatori del loro casino’.
La questione della recessione invece non scomparira’ e non scomparira’ perche’ essa e’ un fatto, solido, drammatico, il risultato del fatto che la macchina come gia’ noto quaranta anni fa, non funziona piu’. Forse nel ‘900, non ha mai funzionato cosi come pareva funzionasse nell’800. Quando la recessione mordera’ con violenza e il precariato si trasformera’ in indici di disoccupazione a due cifre, che faremo ? Diremo che ci vuole piu’ stato e meno mercato ?
Stato e mercato sono enti reciproci e relativi nello stesso sistema, quando il sistema non funziona piu’ non si ha facolta’ di risolvere il problema riversando i problemi di una parte, nelle opportunita’ dell’altra, poiche’ entrambe hanno problemi e nessuna delle due ha piu’ opportunita’, le opportunita’ sono tutte esterne al sistema e non c’e’ compensazione interna. Se il tempo passa per Milton Friedman, esso passa anche per Keynes.
Quello che dovremo dire e’ che la struttura degli eventi e del mondo ci obbliga a ridurre la nostra economia, la sua struttura decresce per motivi endogeni ed esogeni, per fisiologica anzianita’ e per un peso sempre piu’ relativo in un ambito in cui altri crescono o corrono verso il futuro, meglio e piu’ di noi, perche’ il Mondo si e’ messo in proprio e non piu’ il nostro ragazzo di bottega.
Il tutto in un ambiente che scopriamo con stupore infantile, ha dei limiti fisici insuperabili. Non facciamo come certi penosi individui che scambiano la terza eta’ per una rinnovata giovinezza, diventando tristemente patetici nei loro lifting con sorriso di plastica. La decrescita non e’ una opzione, e’ il nostro destino che e’ governato dalla biologia e non dall’ideologia.
Ecco allora che forse nelle prossime settimane, indignati, lavoratori di ogni ordine e grado, studenti, precari, donne, uomini ed altri generi, contadini, intellettuali, giovani ed anziani, il famoso 99%, potrebbero raccogliersi intorno a un’opzione di semplice buonsenso, redistribuire il sempre meno lavoro che c’e’ e ci sara’, mantenendo inalterati ovviamente i livelli di reddito relativo.
Meno tempo di lavoro, piu’ lavoro per tutti, piu’ tempo per esercitare le funzioni umane, che oltre allo scambio affettivo, intellettuale, sociale, relazionale, di fatti economici non monetizzabili, includa il capitale necessario da accumulare per gestire la transizione anagrafica della nostra vecchia parte di mondo: il tempo.
Tempo da dedicare alla partecipazione dell’autogoverno del sistema sociale che tutti ci comprende. La democrazia reale e’ l’unico regolamento sociale che e’ di sua natura l’alternativa al vecchio, consunto e non piu’ utilizzabile regolamento dei tre secoli di Occidente predatorio e dominante: il mercato.
L’alternativa al mercato non e’ lo Stato e’ la democrazia partecipata, una testa un voto invece che un dollaro (un euro) un voto, una democrazia che redistribuisca i pochi dollari (euro) che ci rimarranno.
Per vivere in cio’ che verra’ dopo ‘la fine dei tempi’, abbiamo una sola opzione, non dobbiamo neanche far la fatica di scegliere. Il nostro futuro e’ fatto di una sola, semplice equazione: meno economia, piu’ democrazia.
Ne’ lo Stato, ne’ il mercato puo’ decidere del nostro adattamento al tempo che incalza, lo decideremo noi, il ‘noi’ del convegno democratico in seduta estesa e permanente. La materia prima per far cio’ e’ il tempo, tempo da recuperare nell’includere tutti nel lavoro diminuendone l’impegno pro capite.
Anticipiamo i tempi, come si sa il tempo e’ denaro e di denaro ce n’e’ sempre meno!
(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)
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