E’ in distribuzione Per molti cittadini e’ solo uno di quei complicati codici che servono a farsi accreditare lo stipendio sul conto corrente o per pagare il condominio. Ma l’Abi (Associazione bancaria italiana), organizzazione privata tra tutte le banche, e’ molto di piu’. Nata nel 1919, sciolta dal regime fascista nel 1937, si e’ ricostituita nel 1945, quando molte banche erano ormai pubbliche. Dal 1992, l’Abi ha accompagnato il processo di privatizzazione dell’industria bancaria italiana avviato dal governo Amato, uscendo anch’essa dal torpore del bel palazzo in cui ha sede (uno dei piu’ fastosi palazzi della Roma barocca, di proprieta’ della storica e papalina famiglia Altieri).
In tale periodo Giuseppe Zadra e’ stato il demiurgo dell’Abi, favorendone la crescita quantitativa e qualitativa. Qualitativa perche’ alla tipica attivita’ associativa (relazioni sindacali e lobby a porte chiuse con le istituzioni) si sono aggiunte tante altre iniziative, tese anche allo sviluppo del business bancario, spesso promosse da nuovi enti, satelliti di Abi, che con essa sono andati a costituire il cosiddettosistema Abi. u il caso di Cbi, Abi Lab, Abi Energia, Bancomat, PattiChiari (vedi pagina accanto). In termini quantitativi, cio’ ha significato un aumento del personale (a livello di sistema) da poco piu’ di un centinaio di dipendenti a fine anni 80 ai circa 500 di oggi. La crescita ipertrofica dell’associazione non ha mai infastidito nessuno, almeno finche’ i tassi di profitto delle banche sono stati doppi rispetto a quelli dell’industria. Dal 15 settembre 2008, giorno del crack Lehman, le cose cambiano anche per gli istituti di credito italiani. E per l’Abi.
Un nuovo presidente.
Nel 2009, dopo 17 anni, Zadra lascia e viene sostituito da Giovanni Sabatini, la cui gestione pero’ non si caratterizza in modo significativo. Fino al luglio 2010, quando arriva alla presidenza Giuseppe Mussari. Presidente del Monte Paschi di Siena, con Mussari cambia qualcosa di profondo nelle logiche che guidano l’associazione delle banche. Da settembre 2010, a dispetto di ogni prassi consolidata e annunci anche recenti, ogni contratto di lavoro precario arrivato a termine non e’ stato rinnovato. Tra settembre e dicembre sono stati circa 60 i giovani lavoratori usciti in questo modo da Palazzo Altieri. In aggiunta a cio’, l’Abi ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per 80 dipendenti a tempoindeterminato, su un totale di 308. La lunga trattativa sindacale che ne e’ conseguita si e’ chiusa lo scorso febbraio con la firma di un accordo tra Abi e tutte le sigle sindacali.
Un accordo duramente contestato dai dipendenti dell’associazione bancaria, che hanno anche scritto una lettera aperta al Comitato esecutivo (l’organo deliberante in cui siedono i principali banchieri italiani, da Passera a Ponzellini) per scongiurarne gli effetti. La lettera non ha sortito alcun effetto, ovviamente. Cosi 36 dipendenti sono stati mandati a casa, l’emorragia di precari e’ continuata e i lavoratori rimasti si ritrovano con forti decurtazioni dello stipendio. E chi l’aveva scritto, o aveva espresso gli stessi concetti durante le assemblee dei lavoratori, e’ stato ricambiato con l’assegnazione di ruoli inferiori ai precedenti e assegnazioni di mansioni fuori registro. Ma e’ possibile che l’associazione delle banche italiane si trovi in una situazione cosi drammatica? I numeri non sono dalla parte di Mussari [continua su Altreconomia 126, tra poco anche online, mettete il sito tra i preferiti)
(Tratto da: http://www.finansol.it)
Be the first to comment on "Il lavoro in banca"