Fare cinema itinerante per e con le comunità di migranti. E’ questo l’intento dell’associazione “i313”, sole donne torinesi, da anni impegnate anche nella cooperazione sociale ed internazionale (Davide Pelanda).
«Il nostro intento – spiega Elena Scotti – è quello di rendere più accessibile a tutti la cultura e di portarla in alcuni quartieri dove si trovano comunità straniere: abbiamo iniziato da un quartiere che è Barriera di Milano a Torino, poi San Salvario sempre a Torino e via via ci siamo allargati. E le richieste ci vengono direttamente dalle persone, una scelta partecipata dei festival cinematografici proveniente dalla gente. Da queste interviste e da questi incontri partono poi tutta una serie di conoscenze e di contatti sul territorio, la realizzazione di un video che viene proiettato prima del film, dove si vedono tutti i passaggi svolti nel quartiere per costruire assieme la rassegna cinematografica.
L’idea è anche quella di allargarsi con questa esperienza non solo in Piemonte ma anche in altri Paesi all’estero. In giro per l’Italia non c’è nulla di simile. Avevamo pensato di scrivere un progetto simile per Genova, vediamo se riusciamo a farlo»
Ed è dal 2004 che questa associazione si occupa di cinema di strada e di un festival itinerante di cinema di comunità migranti dove vengono coinvolte, di volta in volta, cinesi, marocchini, rumeni, senegalesi, italiani…
Elena puoi spiegarci come funziona il vostro lavoro nei quartieri?
«Coinvolgiamo sempre gli stranieri. Nel 2009 ad esempio abbiamo fatto una serata a San Salvario dal titolo “Uno sguardo sull’Afghanistan” andando in giro per il quartiere con dei ragazzi afghani: loro intervistavano, usavano la telecamera e producevano il video.
Per la recente rassegna di Barge e Bagnolo (CN) abbiamo fatto la stessa cosa ma con una classe di ragazzini delle scuole medie molto mista con bimbi stranieri».
In queste interviste fate raccontare testimonianze ai ragazzi, ad esempio, sulla guerra e le tragedie che magari hanno vissuto nel loro Paese? Magari con testimonianze fortemente emotive?
«Di solito vertono sul cinema. In generale i nostri film sono comici, puntiamo a momenti conviviali e di aggregazione allegra, non di temi molto forti. I ragazzi afghani a loro scelta ci hanno raccontato il viaggio che hanno fatto per arrivare qua da noi, un viaggio naturalmente tremendo, sono rifugiati per cui….Cerchiamo di dare un’altra immagine rispetto alle tragedie di questi Paesi. Prima delle serate offriamo gli aperitivi vengono organizzati dalle comunità dove si proiettano i film»
Visti i tempi che corriamo non facili per gli stranieri in Italia, avete subito critiche e attacchi da persone che magari ce l’hanno con gli immigrati, magari da parte di qualche leghista?
«Eh beh sì, siamo in piazza per cui ci sono tutti i generi di persone, questo succede sia con gli italiani verso gli stranieri che viceversa. Sono situazioni, come dire, “da bar”, non gravi. Anche perché prima lavoriamo a lungo sul territorio per cui alla fine ci conoscono: per esempio siamo stati in Piazza della Repubblica, la comunità marocchina ha organizzato l’aperitivo ed alla fine anche le signore piemontesi che alla fine bevevano e parlavano con i loro vicini marocchini.
Ci è capitato che a San Salvario fossimo di fronte a largo Saluzzo dove c’è una sede della Lega Nord: alcuni di loro sono venuti a chiedermi che cosa stavamo facendo e perché, si è parlato e basta senza nulla di eclatante».
I numeri di affluenza di pubblico a queste rassegne sono alti?
«L’anno passato, il 2009, la media è stata di 315 persone a serata. A Barriera di Milano, ad esempio, facciamo quattro serate per cui tutto sommato le persone sono tante»
Le amministrazioni pubbliche sono favorevoli a questa vostra iniziativa? Vengono coinvolti direttamente e lavorate con loro, oppure erogano solo i fondi?
«Con la Regione Piemonte lavoriamo con l’assessorato alla Cultura. Fin da subito c’è stato un buon rapporto per cui abbiamo iniziato prima sul piccolo e poi, su loro indicazione, allargandoci ed andando fuori Torino, nella regione. Su Torino invece lavoriamo sempre con l’appoggio della Regione, con le circoscrizioni dove ognuna da un contributo economico».
Ci sono difficoltà per reperire questi film? Ci sono problemi per la distribuzione? Avete riscontrato delle difficoltà per farli uscire da Paesi magari che hanno delle dittature?
«Basta chiedere e pagare i diritti. Le spese comunque sono grosse, paghiamo anche la Siae. I film che proiettiamo in genere possono tranquillamente uscire dai Paesi d’origine».
Queste rassegne cinematografiche hanno lo scopo anche di raccogliere fondi per le situazioni più disagiate? Le proiezioni sono finalizzate qualche volta alla raccolta fondi in solidarietà con il Paese di cui si parla nella pellicola?
«No, non è nella nostra filosofia. Cerchiamo di far vedere di questi Paesi una parte bella, con bravi registi, non la parte di sofferenza e di disagio. Certo certi film possono coinvolgere emotivamente molto, però cerchiamo di far apprezzare una cultura altra. Di apprezzarla appunto, e non di compatire»
Come la pensate politicamente sui migranti?
«Come progetto è abbastanza evidente, anche se non abbiamo una connotazione politica ben definita. Ovviamente dipendiamo dall’ Amministrazione regionale, adesso avremo le elezioni… non so come andrà…»
I registi dei film che proiettate sono nomi noti, famosi, premi Oscar?
«I film che passiamo sono di registi già famosi nel loro Paese di origine. Da noi un po’ meno. Questi registi si mettono a disposizione del pubblico dopo la proiezione e ne vengono fuori in contri molto interessanti. Spesso poi queste pellicole sono delle prime visioni che non vengono proiettate nel circuito classico delle sale cinematografiche italiane, oppure ci sono ma per breve tempo. I film sono tutti in lingua originale, sottotitolati in italiano.
Per la scelta dei film delle rassegne nei vari quartieri mettiamo sempre un film italiano, mentre per gli altri si opera in base alle comunità presenti su quel determinato territorio. Ma la cosa più bella è che il pubblico è misto tra torinesi e stranieri, magari con persone anziane in piazza assieme a giovani stranieri»
Avete collegamenti con altre realtà torinesi che si occupano di cinema come ad esempio TorinoFilmFestival o Sottodiciotto ecc… ? Avete pensato di inserirvi in queste realtà? Volete ingrandirvi?
«Alcune volte ci chiamano per lo scambio dei film. Non vogliamo però perdere la nostra identità perché queste nostre rassegne hanno degli aspetti non comuni, come il fatto che siamo in strada ed anche questa idea di vedere il migrante non per fargli la carità ma come portatore di cultura da condividere».
Avete mai pensato di realizzare voi qui a Torino un film sulla realtà degli stranieri, coinvolgendo magari attori e registi che avete conosciuto negli anni?
«Sì, l’idea ci è venuta. Abbiamo una quantità di materiale di archivio girato notevole, interviste eccetera. L’idea è appunto quella di trovare i soldi per mettere assieme tutto ciò e farne un film».
Per saperne di più il sito dell’associazione è www.associazione313.org
Be the first to comment on "Il cinemigrante"