Il mondo e’ un gioco divino che l’Essere sogna nelle nostre menti

Nelle filosofie monistiche dell’India (non in quelle dualistiche), “līlā” e’ un vocabolo sanscrito che designa il gioco divino dell’universo materiale e, al tempo stesso, il potere illusionante che vela il Brahman Assoluto. Si tratta di un concetto puranico, non vedico, alla base del quale riposa la concezione della realta’ manifestata come espressione di una dimensione ludica dell’Essere Supremo e, insieme, del suo carattere illusorio, reso possibile da ‘maya’, vale a dire la falsa credenza che gli esseri siano separati dal Brahman.
Nella “Bhagavad-Gita” si afferma che la natura materiale e’ prodotta dai tre ‘guna’ – Ignoranza, Passione, Virtu’ – i quali costituiscono la natura inferiore, “prakrti”. Quando l’essere individuale, che in se stesso e’ imperituro, entra in contatto con la natura materiale, diventa condizionato da questi tre ‘guna’ ((XIV, 5-6); si, anche dalla Virtu’, che genera orgoglio e illusione di sapienza: una forma di condizionamento diversa, ma non meno pericolosa degli altri due – come e’ bene esemplificato da tanti filosofi e scienziati moderni.
Dunque: se ammettiamo, e sia pure in via di ipotesi, che l’intera realta’ materiale non sia altro che una sorta di gioco cosmico della Mente Suprema – gioco che noi finiamo per prendere anche troppo sul serio -, non possiamo esimerci dalla domanda circa la ragione di esso; ne’ possiamo pervenire ad altra ragionevole risposta, che esso corrisponde all’esigenza di salvaguardare la liberta’ di scelta delle menti finite, che solo cosi possono compiere una opzione non condizionata fra l’illusione della separatezza e la piena felicita’ dell’identificazione con l’Assoluto.
Spostandoci nell’ambito del Buddhismo, la filosofia Vijnanavada, meglio nota come Yogacara, che e’ una delle principali scuole mahayaniche, sostiene che tutto e’ vuoto, ma si propone anche di spiegare come tale vacuita’ sia pensata da qualcosa o da qualcuno; diversamente, non si potrebbe dire nulla di essa, assolutamente nulla. Se qualcuno o qualcosa pensa la vacuita’, allora significa che l’intera realta’ e’ fatta di pensiero, il che conferma la natura illusoria dell’universo materiale. Questo e’ stato il nucleo dello sforzo filosofico di Vasubandhu e del suo fratellastro Asanga, due delle menti speculative piu’ sottili di tutti i tempi.
Certo, qui la prospettiva generale e’ diversa, a causa dell’essenza non teistica del Buddhismo, che lo differenzia profondamente dall’Induismo; pure, non e’ un caso che esistano rilevanti punti di contatto fra le concezioni idealistiche del primo, come lo Yogacara, e quelle del secondo, come il Vedanta.
La questione e’ stata cosi sintetizzata da Fe’licien Challaye (in: “I filosofi dell’India”; titolo originale: “Les philosphes de l’Inde”, traduzione italiana di Carla Vitagliano, Torino, S. A. I,. E., 1959, pp. 150-152):

“La prima tappa nel cammino della verita’ consiste in questa scoperta: gli oggetti non sono che pensiero. Non esiste veramente l’oggetto. Ma alla nozione di oggetto e’ necessariamente legata quella di soggetto. La’ dove non c’e’ oggetto, non ci potrebbe essere, in tutta la forza del termine, un soggetto: ‘La’ dove non c’e’ prendibile, non c’e’ chi prende’.
Asanga combatte il ‘pregiudizio’ dell’io. Non esiste personalita’ piu’ di quanto non esistano atomi. La cosi detta personalita’ non e’ che una serie di esseri istantanei, vuoti di ogni sostanza. L’individuo e’ solamente una parola, non e’ una realta’. Lo pseudo-io e’ costituito dalle immagini degli atti anteriori:; e’ un prodotto del ‘karman’. Come il mondo esteriore, la vita interiore dell’io e’ un miraggio. Non ci sono che fenomeni, esistenti in quanto dati immaginari., inesistenti in quanto realta’.
In tal mondo l’oggetto e il soggetto si incontrano in quanto illusione. La seconda tappa nella via della verita’ e’ la rinuncia ad ogni differenziazione tra soggetto e oggetto. C’e’ credenza illusoria nella dualita’: ‘non esiste dualita”. L’idealismo diventa monismo.
Si arriva cosi alla formula: ‘Nulla fuorche’ pensiero’ (‘Vijnanamatra’). La sola realta’ e’ il pensiero:; un pensiero senza soggetto ne’ oggetto; un pensiero ricettacolo del tutto (‘alaya vijnana’).”
Sylvain Le’vi espone in termini penetranti il significato di questa affermazione:
‘L’analisi di Asanga scopre, sotto il flusso incessante delle cose, una nuova sensazione, la sensazione del ‘sottosuolo’, serbatoio ne quale vanno ad immagazzinarsi gli effetti acquisiti nell’attesa di trasformarsi in cause. Non e’ la persona, poiche’ il Buddhismo nega la personalita’; non e’ l’io, poiche’ l’io e’ illusorio. E’ l’affermazione dell’essere che si trova coinvolto in tutti i nostri giudizi e in tutte le nostre sensazioni’ Asanga qui conferma Descasrtes. Egli non dice: ‘Penso, dunque sono’. Ma sotto la sensazione del ‘manas’ che traduce: ‘Io penso’, egli isola la sensazione piu’ profonda, che afferma: ‘Io sono’. In tal modo, senz’essere vera nel senso assoluto poiche’ e’ legata all’io, la sensazione dell”alaya’ (coscienza-ricettacolo) contiene una somma dio realta’ superiore a tutte le altre, e in tal modo partecipa alla permanenza nell’universo impermalente’ All’io fittizio, che viene abolito, si sostituisce la coscienza universale dove l’io e gli altri sono considerati come uguali e identici.’
Possiamo, d’altra parte, chiederci se la parola ‘coscienza’, qui usata da Sylvain Le’vi, non potrebbe essere vantaggiosamente sostituita dal termine di ‘subconscio universale’. Poiche’ proprio in questo sottosuolo vanno ad accumularsi tutte le immagini anteriori dell’universo e tutti gli stati psichici anteriori. Non si tratta, pero’, di un subconscio passivo. In esso e’ il sostegno delle nostre percezioni, ed anche degli organi che le procurano, il substrato di tutte le nostre conoscenze.
Dal punto di vista morale, questo pensiero e’ un ‘pensiero retribuzione’, poiche’ implica il frutto delle azioni buone o cattive che determinano le trasmigrazioni.
Questo pensiero-sottosuolo si sviluppa nella apparente dualita’ dell’oggetto e del soggetto. Da esso procedono le apparenze del mondo esteriore e del’io, del bene e della fede, delle passioni e della contaminazioni.
Hsuan-tsang ci fa conoscere il modo particolarmente suggestivo del quale Vasubandhu si serve di una similitudine classica quando paragona il pensiero-sottosuolo ad un fiume. Il pensiero-sottosuolo non e’ ne’ discontinuo, ne’ stabile. E’ una serie omogenea e senza interruzione; e cambia incessantemente. Come il fiume trasporta delle foglie alla superficie e dei pesci nelle profondita’, il pensiero sottosuolo scorre portando con se’ le immagini esternabili e gli psichismi individuali. Colpito dal vento, il fiume produce molteplici onde senza che la sua corrente si arresti, come il pensiero-sottosuolo produce innumerevoli fenomeni. E questo fiume trasporta gli esseri ‘in alto o in basso’, verso i buoni o i cattivi destini.
Il pensiero cosi inteso, liberato da ogni distinzione fra oggetto e soggetto, si identifica con l’universo, poiche’ nulla differenzia la conoscenza col suo oggetto. Esso e’ ‘tathata’: potremmo dire l’essenza delle cose, se una simile dottrina comportasse il concetto di un essere in se’. Preferiamo tradurre la parola servendoci di un termine medioevale che indica la qualita’ intima delle cose: la ‘quiddita”.
‘Il pensiero – dice Asanga – e’ la ‘tathata’ del pensiero’. La ‘tathata’ e’ nello stesso tempo essere e non essere. ‘Essa e’ – scrive Asanga – la caratteristica assoluta delle cose; e’, in realta’, l’inesistenza di tutti i ‘dharma’ (fenomeni),, che sono immaginari, ed e’ l’esistenza, giacche’ essa esiste attraverso la loro inesistenza. E’ insieme esistenza ed inesistenza, poiche’ questa esistenza e questa inesistenza sono indivise’
Asanga esalta la scoperta di questa ‘tathata’, al di la’ di tutti gli errori e di tutte le illusioni: ‘In verita’ non vi e’ null’altro nel mondo, e tutto il mondo ha le idee confuse a questo proposito. Come dunque e’ cresciuta questa strana follia del mondo che fa si che l’uomo si ostini su cio’ che non esiste, trascurando completamente cio’ che e’? In realta’ non vi e’ null’altro nel mondo”.
La scoperta della ‘tathata’, al di la’ del mondo delle apparenze, e’ la terza tappa nel cammino della verita’. La quarta ed ultima tappa, e’ la messa in opera di questa conoscenza trascendente, la sua applicazione alla conquista della salvazione.
Il sapiente diventera’ un santo, un ‘bodhisattva’, un futuro Buddha. La salvazione sara’ l’ingresso nella buddheita’.”

Come si vede, la dottrina profondamente religiosa della “Bhagavad-Gita” e quella, implicitamente ateistica, dell’idealismo Mahayana, convergono in maniera impressionante verso un nocciolo di verita’ comune: l’universo materiale e’ illusorio. Lo Yogacara – ma anche il buddhismo della corrente Theravada – vi aggiunge la persuasione circa l’illusorieta’ dell’io e quindi, inevitabilmente, l’insostenibilita’ di ogni dualismo soggetto-oggetto, essere-non essere.
Va notato come quest’ultima intuizione si avvicini in maniera sorprendente alle piu’ recenti acquisizioni della fisica delle particelle sub-atomiche e, particolarmente, al principio d’indeterminazione di Heisenberg. Cosi come non si puo’ dire, della tathata’, ne’ che essa sia, ne’ che non sia, ma in questo suo non esserci consiste la sua esistenza, allo stesso modo non si puo’ dire, ad esempio, che un elettrone sia un determinato luogo, o che non vi sia, ma bisognerebbe dire che a certe condizioni c’e’, e che in altre condizioni non c’e’; oppure, ancora, non si puo’ dire che la luce si comporti sempre secondo il modello ondulatorio o secondo il modello corpuscolare, ma che si comporta a volte in un modo e a volte nell’altro.
La differenza, certo notevolissima, fra l’illusorieta’ del mondo secondo l’Induismo, e quella secondo il Buddhismo, e’ che per il primo, di la’ dal velo di ‘maya’, c’e’ la realta’ del Brahman Assoluto, dunque una nozione profondamente religiosa; mentre per il secondo c’e’ un principio indifferenziato di esistenza ed inesistenza, di essere e non-essere.
A noi, tuttavia, piace cogliere gli elementi comuni fra le diverse dottrine spirituali e non soffermarci troppo sugli elementi di diversita’ o di contrapposizione. Dovremmo abituarci a vedere ogni dottrina tradizionale come una scala protesa verso il Cielo e cogliere, quanto piu’ possibile, lo stimolo che ciascuna ci puo’ offrire per oltrepassare la condizione di profonda ignoranza in cui versiamo e per aprirci alle dimensioni superiori dell’esistenza, liberandoci dalle catene che ci tengono avvinti ad una realta’ illusoria.
Dovremmo riflettere a lungo sull’interrogativo posto da Asanga: “Come dunque e’ cresciuta questa strana follia del mondo che fa si che l’uomo si ostini su cio’ che non esiste, trascurando completamente cio’ che e’?”.
Ecco una concetto sul quale tutti coloro che condividono una visione spirituale della realta’ potrebbero concordare pienamente. Il problema e’ proprio questo: liberarsi dall’errore dell’impermanenza e ritornare all’essenziale. In fondo, tutta la Tradizione si puo’ ridurre a questa dottrina fondamentale: bisogna ritornare all’essenziale, dopo aver eliminato vigorosamente tutto cio’ che e’ superfluo ed ingannevole.
E adesso torniamo ala teoria che l’universo manifestato non sia altro che un gioco divino, che l’Essere sogna e nel quale noi ci muoviamo credendolo reale, mentre la sua sostanza e’ intimamente illusoria. Non e’ che l’Essere ci voglia ingannare per divertirsi con la nostra illusione: non sarebbe un gioco divertente. Viene anzi da chiedersi come l’Essere riesca a sopportare lo spettacolo della continua ingiustizia e violenza che caratterizzano il nostro agire nel mondo, senza restarne profondamente turbato.
Ma in noi vi e’ una scintilla o un riflesso dell’Essere; al fondo della nostra essenza vi e’ la realta’ dell’Essere. Noi, dunque, allorche’ ci liberiamo dall’illusione, strappando alle radici le sue armi preferite – il timore e la brama, ovvero l’attaccamento alle cose – siamo gia’ dei liberati, degli esseri di luce, dei vittoriosi che si proiettano verso l’Assoluto.
Sui nostri volti pieni di cicatrici, dopo dure battaglie, dovrebbe spuntare quel sorriso ineffabile che contraddistingue la consapevolezza liberata dall’illusione, che si fa incondizionata apertura ed equanime, benevola accoglienza verso tutti gli enti.
Dovrebbe trasparire, se volgiamo usare un linguaggio religioso, il sorriso stesso di Dio.

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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