Rosarno, la ‘ndrangheta e un paese alla scoperta della schiavitù

L’idea era nata quasi per gioco, relegata nell’ambito della mera provocazione. Oggi, qualche mese dopo la sua ideazione, in Francia e’ divenuto un appuntamento attesissimo. E l’Italia non ha tardato ad emulare ancora una volta i “cugini d’oltralpe”.
Il primo marzo, in Francia come in Italia, avverra’ il primo sciopero nazionale dei migranti. Una pacifica prova di forza da parte di chi vuole solo mostrare agli occhi di tanti cittadini abituati a leggere la realta’ dallo schermo di una tv (o di un pc) cosa sarebbe il loro paese senza di loro.
Ventiquattrore per tentare di mettere in ginocchio un paese, come non avviene da parecchio tempo.

A Rosarno, in Calabria, il 1° marzo e’ arrivato con quasi due mesi di anticipo. Ed ha preso libero sfogo nella sua forma piu’ violenta. Incontrollata. Quella che non trae origine dalla logica “consapevolezza” o dalla fredda indignazione, ma dalla rabbia.

Questo paese, a pochi passi da Gioia Tauro, ospita circa 5 mila immigrati provenienti da ogni angolo del continente africano (Ghana, Sudan, Togo, Senegal, Costa D’Avorio, Marocco, Mauritania), a fronte di una popolazione autoctona di appena 15 mila persone.
E’ uno dei tanti luoghi d’Italia in cui lo Stato ha storicamente rinunciato a mettere piede. E in cui la ‘ndrangheta afferma con forza il proprio dominio, consolidando quel peculiare privilegio di unica cosca mafiosa d’Italia in perenne ed inarrestabile ascesa.
E’ la terra di proprieta’ dello storico clan Pesce. Oltre che uno dei tanti comuni italiani sciolti per infiltrazioni mafiose.

La raccolta degli agrumi e’ una delle attivita’ economiche primarie nella piana di Gioia Tauro. Per il suo svolgimento la ‘ndrangheta necessita di lavoratori pronti a spaccarsi la schiena per oltre 12 ore al giorno, senza un tetto dove dormire, ammassati in capannoni fatiscenti in compagnia di roditori e per una paga di appena 20 euro a giornata.
In altre parole, necessita di schiavi. E nel 2010 ne possiede a migliaia, impiegati a rotazione tra le terre di Puglia, di Calabria, lucane e siciliane.

Alcuni colpi d’arma da fuoco esplosi da divertiti gangster a bordo di un auto in corsa contro un nutrito gruppo di immigrati hanno provocato il ferimento di due persone. E l’esplosione di una rabbia incontrollata che covava sotto la cenere in attesa di un soffio di vento da anni.

Dalla rivolta di Spartaco ad Abramo Lincoln sono passati circa 1900 anni. Dall’abolizionismo repubblicano francese ad oggi ne sono passati piu’ di 200. Oggi torniamo a vivere un assaggio di cio’ che accade in queste stesse terre del meridione d’Italia oltre 2000 anni fa.

La terza guerra servile romana, guidata dal legionario prima e gladiatore poi Spartaco, nasceva nel 73 a.C. dalla fuga di 70 schiavi stranieri. I “fatti di Rosarno” vedono protagonisti dalle prime ore oltre 1500 lavoratori stranieri (regolari e non).
Nella Repubblica Romana precristiana i cittadini galli, germanici, traci, numidi e di ogni parte del mondo “latinizzato” erano funzionali e necessari alle attivita’ economiche che mai un romano di buoni costumi avrebbe potuto ricoprire. I rapporti tra le gens italiche ed i primi erano fondati sulla paura, l’odio ed il disprezzo reciproci. Una situazione, seppure con le dovute sfumature, troppo simile alla realta’ odierna.
2000 anni fa le truppe straniere ribelli affrontavano in campo aperto le truppe di polizia militare comandate da Crasso e Pompeo. Oggi l’acciaio degli scudi ha lasciato il posto al plexiglass. Le Beretta 22 e i fucili hanno preso il posto di archi e lance.
Durante la guerra servile, alcuni gruppi incontrollabili di ribelli si dedicarono a saccheggi, furti, omicidi e stupri. Alcuni schiavi, in queste ore, stanno dando alle fiamme auto, cassonetti, piante. Nei casi piu’ gravi feriscono cittadini trattati a mo’ di capo espiatorio. Alcuni cittadini italici fanno lo stesso e riempiono di piombo le gambe di due stranieri in protesta.
Nell’epoca repubblicana dell’antica Roma gli schiavi, privi di ogni diritto, compreso quello alla liberta’, erano merce preziosa e la cura delle loro condizioni fisiche era prioritaria per i cittadini schiavisti della capitale. Oggi anche le attenzioni da “despoti magnanimi” sono solo frutto di fantasia.

Dopo la sconfitta degli schiavi, il pretore Marco Licinio Crasso ordinava la crocefissione lungo l’Appia di migliaia e migliaia di ribelli catturati in battaglia come pena giudiziaria per la sovversione e monito per possibili futuri tentativi.
Oggi il Ministro degli Interni, Roberto Maroni, imputa al fenomeno migratorio l’intera responsabilita’ della “situazione calabrese”. Fenomeni mafiosi, sistemi corruttivi, sfruttamento, violenza e collusioni lasciano il passo alla piu’ grave piaga dell’immigrazione irregolare.

Il nuovo pretore chiamato a gestire e soffocare i disordini nel meridione predilige, come il suo illustre predecessore romano, la lotta agli schiavi rispetto alla lotta alla schiavitu’.
D’altronde la mafia e lo schiavismo ad esso connesso non hanno troppa importanza in questo paese. Lo affermava con queste parole il nuovo imperatore post-repubblicano nell’ottobre del 1994:

“Il nostro paese grazie alla ‘Piovra’ ha diffuso un’immagine negativa quasi ovunque. In Italia la realta’ della Mafia e’ niente rispetto alla realta’ operosa della brava gente. Sara’ un decimillesimo, un milionesimo su cinquantasei milioni di italiani. E allora noi vogliamo che un centinaio di persone diano l’immagine negativa a tutto il mondo?”.

(Tratto da: http://informazionesenzafiltro.blogspot.com)

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