Un ministro piccino picCina. Riflessioni su banane e repubbliche delle banane

Durante il suo ultimo viaggio in Cina il ministro Tremonti ha umilmente fatto marcia indietro sui suoi propositi neomercantilisti e in particolare sulle “imposte ambientali”, che altro non sarebbero, secondo lui, se non dei dazi mascherati.

Il titolare del dicastero dell’economia ha forbitamente parlato degli “effetti distorsivi” (e c’è anche chi dice che non è un economista!!) derivanti dall’imposizione di tariffe doganali differenziate. Va detto che questa controffensiva mercatista non riguarda solo il “nostro” ministro ma è l’ennesimo segnale che gli speculatori, i bancarottieri, i banchieri e gli spazzasoldi di ogni dove nel mondo stanno tornando alle vecchie abitudini come prima e più di prima dopo la “pausa di riflessione” in cui hanno munto i governi minacciando i più terribili flagelli, tutti da dimostrare. Il fatto piuttosto è che la classe politica fa loro da lacchè e dunque non poteva esimersi dal gettare salvagenti, prima, e, dopo averli tirati in salvo, farsi di nuovo puntare la pistola alla schiena e accettare i loro desiderata.

Non che sia passata la burrasca, ma la fase di momentanea euforia che sta facendo “tirare” le borse e le materie prime (a partire dal petrolio) sui mercati internazionali genera l’illusione che tutto questo possa durare. Naturalmente in un orizzonte temporale medio- breve è realistico attendersi una nuova mazzata, come sanno bene analisti e studiosi esperti che non si fanno gabbare dalle chiacchiere dei report finanziari…finanziati da chi vuole farsi finanziare a spese del pollo della situazione. Non è un caso che stia continuando il rally dell’oro, notoriamente un bene rifugio, il cui target price 2009 è realisticamente dato a 1300 USD/oncia e che in realtà anche le crescite dei PIL nella stragrande parte dei Paesi si attestino sconsolatamente sullo zerovirgola, per non parlare di spie inquietanti come il crollo di Dubai.

Proprio in questi giorni, inoltre è stata risolta la questione, sempre sui dazi, riferita al commercio delle banane, notoriamente in mano a Dole e Chiquita e altre corporation statunitensi note per comportamenti quantomeno “poco trasparenti” nei paesi in cui razziano- non acquistano- le banane. Tale accordo andrà a svantaggio dei piccoli paesi, dei piccoli produttori e dei consumatori. Ma l’importante era togliere il dazio! Proviamo a fare un ragionamento di buon senso: chi di noi si sia mai recato a fare la spesa in un mercato rionale sa benissimo che qualsiasi frutto, tranne forse mele e arance nel pieno della stagione, costa più delle banane. Tali frutti vengono, generalmente, da coltivazioni di varie zone d’Italia o della Spagna, più di rado dalla Francia. Le banane vengono, in genere dal Sud America, devono essere raccolte, stivate, caricate su una nave, attraversare l’Atlantico (non lo Stretto di Messina, per capirci), essere sdoganate (non vengono da paesi UE, dunque la procedura è quella standard per le altre importazioni), scaricate, portate ai mercati generali e vendute. E riescono ancora a costare meno di tutti gli altri frutti. Ma ora devono costare meno ancora. Non so valutare se vi sarà uno “spiazzamento” dei nostri frutti con il nuovo regime tariffario non avendo presenti i livelli di rigidità della domanda degli stessi, tuttavia questo aspetto è davvero aberrante, anche perché vorrà dire nuovo inquinamento generato dai trasporti, l’aumento della “guerra fra poveri” nei paesi produttori e nuovi profitti per le multinazionali. Sottolineo inoltre che, se nel medio termine dovesse esserci un aumento della domanda di banane questa darà nuova linfa al processo di deforestazione per far spazio alle piantagioni.

 Sembra che sia passato di palo in frasca, ma non è affatto così: iniziare con un ministro di una repubblica delle banane e finire a parlare di banane non è un salto di palo in frasca, a parte questo la considerazione più generale che mi sembra utile compiere è questa: vorrei sapere un motivo, uno, per il quale dobbiamo accettare supinamente di veder segato l’albero su cui stiamo seduti e sul quale, bene o male, campiamo. Il nostro tessuto produttivo si sta impoverendo di giorno in giorno, e non certo da oggi, siamo invasi da produzioni a bassissimo costo e sicurezza provenienti dai NIC (paesi di nuova industrializzazione) che spesso riescono ad essere così competitivi perché privi di quelle conquiste di civiltà e umanità che portano il nome di welfare state, previdenza sugli infortuni, tutela ambientale etc.. E di fronte a tutto questo le nostre autorità, che di autorità non ne hanno proprio, al massimo possono imporsi sui lavavetri, sono con il capo cosparso di cenere a chiedere umilmente perdono a quella ciurma di manigoldi che si sta impadronendo del pianeta e delle nostre vite, il tutto a man salva.

Sono molto d’accordo con l’articolo di Eugenio Benetazzo “Tagli e dettagli” appena pubblicato che vi invito a leggere, visto che affronta proprio queste tematiche. Non a caso anche la “guerra delle banane” è un tassello della strategia mercatista propugnata dal WTO su scala globale. Ma naturalmente, dopo aver perso qualche distretto industriale avremo anche noi il contentino di poter esportare cinquanta Ferrari in Cina.

Alberto Leoncini

albertoleoncini AT libero.it

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