di Gianfranco La Grassa 1. La politica è divenuta una mera guerra per bande (o per cosche), quindi è di fatto inesistente. I temi che normalmente fanno parte di questa sfera della pratica sociale non sono del tutto ignorati, ma continuamente sopraffatti e distorti (fino spesso a scomparire) da due altre pratiche: operazioni giudiziarie “mirate” e raffica di scandali (ci sono decine di possibili ricatti o rivelazioni a sfondo sessuale in pole position; almeno così si assicura in sede giornalistica). Il problema giudiziario è in pratica all’ordine del giorno da quindici anni; chi non capisce ancora le deviazioni del “terzo pote-re” ha compreso poco degli enormi pericoli di sfaldamento sociale e di nostra dipendenza da una potenza straniera. Non m’interessa se “mani pulite” fu consapevolmente o soltanto oggettivamente strumento di una operazione in buona parte orientata dalla “manina d’oltreoceano” (Geronimo alias Cirino Pomicino) con l’appoggio delle nostre quinte colonne confindustriali e finanziarie, che uti-lizzarono i “miracolati” di una sconfitta storica appena consumatasi (1989-91); di fatto, fu una ma-novra di sovversione, riuscita nella pars destruens (contro Dc-Psi in specie nelle persone di Andre-otti e Craxi) e non invece nella “costruzione” di un vero blocco reazionario e antinazionale perché intralciata, e ancor oggi lo è, dall’entrata in politica di Berlusconi, all’inizio tirato per i capelli es-sendo minacciato di annientamento economico (poi “ci ha preso gusto”, e questo non è stato certo positivo). Il vero fatto è che oggi lo sperato – dai nostri parassiti industrial-finanziari e dai piciisti riciclati (dal “soviettismo” all’americanismo, non certo dall’oggi al domani) – monocentrismo statunitense è decisamente incrinato; anche la differente tattica, che ha condotto all’elezione di Obama, incontra notevoli difficoltà e non ha modificato le prospettive mondiali per il prossimo futuro. Il processo storico è lento, va avanti mediante svariati cambiamenti di scena, proseguendo comunque verso il multipolarismo. Difficile dire quando ci si entrerà realmente, ma tale processo, iniziato da almeno 6-8 anni, sta già provocando notevoli mutamenti nei rapporti tra la (un tempo) superpotenza e le al-tre potenze ormai in sicura crescita. Inutile far finta di non capire che la sarabanda che sconvolge e nasconde la politica italiana discende abbastanza direttamente, pur se celatamente, dalla riconfigu-razione dell’assetto mondiale in corso di svolgimento. Per motivi che non si possono qui riportare per esteso, ma che ho ampiamente spiegato in molti libri e scritti vari, quanto più procede il proces-so di relativo declino statunitense (non in assoluto, appunto, ma solo rispetto alla crescita delle sfere d’influenza altrui), tanto più si accentuerà il caos e il pericolo di precipitazioni di un qualche tipo (non esattamente prevedibile) in Italia. In effetti, un nemico insidioso è in azione da tempo: la visione economicistica dei fenomeni sto-rico-politici. Scusate una diversione. Fin quasi da ragazzo ho sentito parlare della fine della Terra per disastro climatico o esaurimento delle risorse naturali. Ricordo le liti con alcuni amici (che a-desso si dedicano ancora all’ambientalismo e ai social forum, ai no global, ecc.) all’epoca del rap-porto sui “Limiti dello sviluppo” del Club di Roma (emanazione della Trilateral, come dire il Grup-po Bilderberg, con personaggi che erano l’equivalente degli odierni Soros, Al Gore e ambigui per-sonaggi del genere), il quale prevedeva la catastrofe per gli anni ’90 del secolo scorso. Ebbene, così pure da ormai decenni si assiste alla previsione di disastro nazionale a causa del nostro Debito Pubblico, dello sfondamento dei “canoni” di Maastricht in tema di rapporto defi-cit/Pil, ecc. Quando poi è scoppiata la crisi, definita la peggiore dal 1929 ad oggi, gli Usa sono stati visti come quelli che sarebbero quasi implosi, avrebbero perso terreno rispetto all’Europa seguendo di fatto le vicende dell’indebolimento del dollaro rispetto all’euro. Ancora adesso si sostiene che solo la Cina sorregge il terribile indebitamento degli Usa. D’altra parte, non sono in effetti mutati gran che gli assetti finanziari, sia per quanto riguarda i giochetti vari sia per gli emolumenti ai manager, ecc.; e tutto ciò dopo l’enorme agitazione e continue dichiarazioni di intenti, le riunioni dei vari G con tutti i numeri possibili, i richiami all’etica e non so quante altre inutilità consimili. Tuttavia, mi permetto di dubitare che siano fatti del genere, da soli, a preparare nuove crisi ancora più gravi. 2. Desidero dedicare questa seconda parte all’illustrazione di un “piccolo” esempio che fa da spia dell’atteggiamento economicistico. Mi riferisco allo “scazzo” (mi si passi il termine) tra Tre-monti e Berlusconi. Il primo sarebbe il guardiano dei conti dello Stato, impedirebbe spese pazze. Ha inoltre, e gliene va dato atto, sempre messo sull’avviso circa la portata della crisi e la responsabilità dell’apparato finanziario riguardo alle scosse (di superficie), che hanno indubbiamente sfibrato l’economia mondiale. Peccato che egli si sia rifugiato nell’etica (non differente dalla Patria invocata da coloro che vogliono regolare i conti mediante una bella guerra). Inoltre, ha molto tuonato contro le banche, ma ha fatto cadere poca pioggia su di loro. Ha tentato la manovra aggirante dei bond (tra-sformabili in azioni delle banche stesse, possedute quindi dal Tesoro), consentendo a queste ultime – aiutate con varie misure di garanzia sui conti e altro – di rifiutare questo arzigogolato marchinge-gno finalizzato ad un (solo eventuale) loro controllo, quando la politica seria si serve di mezzi assai più diretti e cogenti (secondo me, imparare dai dirigenti russi e cinesi non sarebbe male per noi). Comunque, Tremonti è passato per lo sparagnino che ci salva dal baratro; mentre Berlusconi – che a un certo punto deve tenere conto della sua base sociale ed elettorale (PMI e lavoro autonomo, ecc.) – vorrebbe diminuire la pressione fiscale, in ciò alleandosi di fatto, pur con finalità diverse, con quei ministri che brontolano contro i “niet” del Tesoro all’aumento delle loro dotazioni. Questo è il fenomeno; come tutti i fenomeni, è qualcosa di reale che tuttavia cela qualcosa d’altro di più es-senziale. Andiamo allora alla “strana” riunione dell’Aspen Institute, sezione italiana , di cui Tre-monti è il presidente. Si tenga, “incidentalmente”, presente che l’Aspen è foraggiato per la gran par-te da fondazioni americane. Nella lettera di convocazione firmata dal presidente – convocazione del tutto bipartisan, poiché certamente l’istituto lo è – si faceva riferimento ad una carenza di leadership in Italia e quindi si poneva su queste basi la discussione tra Tremonti stesso e gente come D’Alema e Amato, Enrico Letta (che dovrebbe essere il prossimo presidente) e molti altri (c’era anche Gianni Letta, ma controvoglia). Non si venga a dire che si è trattato di una riunione innocente di puri esperti politico-economici. Berlusconi non era stato di fatto preventivamente avvisato e si è mostrato chiaramente irritato. Non ha affrontato subito, di petto, Tremonti. Dopo poco tempo ha organizzato un viaggio, tutto solo, in Russia, che è stato definito personale, ma anche destinato a restare “segreto”; tuttavia, è stato in re-altà poi pubblicizzato proprio da chi lo “voleva segreto”. Se uno intraprende un viaggio segreto che poi lui stesso contribuisce a rendere palese, non è forse perché intende far capire che si tratta di un evento piuttosto cruciale? I risultati di quest’ultimo saranno più chiari in futuro, anche perché, oltre a Putin, Berlusconi ha incontrato pure (in videoconferenza) il premier turco, che tiene il “piede in due staffe”, ma con evidenti segni di insofferenza verso gli Usa (e Israele). Si può però avanzare fin d’ora qualche supposizione. Berlusconi, confidando nel fatto che gli Usa non usciranno presto dall’impantanamento e che il complesso gioco conflittuale “interpotenze” attribuisce oggi crescente peso alla Russia (discuteremo in futuro della “crisi” che l’attanaglia, secondo una visione ancora una volta solo economicistica), ha deciso di dare ampio risalto all’instaurazione di un buon rapporto con questo paese. E lo ha dato precisamente quale importante contraltare rispetto alla riunione del gruppo – per null’affatto solo economico-politico – dell’Aspen, una “massoneria” (detto in senso improprio, sia chiaro) che sem-bra piuttosto influenzata dagli Usa e diffusa in varie parti del mondo “occidentale” (Europa e Giap-pone). Già dalla Russia, il premier ha annunciato l’intenzione di dare attuazione al suo promesso programma a favore delle PMI, partendo dall’eliminazione dell’Irap, senza consultare il “suo” Mi-nistro dell’Economia. Poi, causa “bufera” (inesistente), ha ritardato il rientro; il faccia a faccia tra i due è avvenuto più tardi e si è concluso con il consueto compromesso che lascia tutto irrisolto. Però…..però potrebbe esserci adesso una differenza dopo il viaggio in Russia; o forse quest’ultimo è invece una mossa più di forma che di sostanza. Difficile dirlo in questo momento. Tuttavia, è chiaro che il premier – magari con bluff pokeristico – vuol mettere sull’avviso gli Usa e i loro possibili sostenitori nell’Aspen (e non solo, ci sono anche ItalianiEuropei, FareFuturo, Ita-liaFutura e mille altre associazioni; e i nostri “corpi speciali”, a partire dai Servizi Segreti, da che parte stanno?) che non è isolato nello scacchiere internazionale, in cui si sta giocando la partita. Quest’ultima è assai complicata e non sono un indovino per sapere come finirà. L’esempio appena fatto mi è servito solo a manifestare la fondata convinzione che lo scontro tra il premier e il suo principale Ministro è avvenuto certamente anche sui temi oggetto ufficiale del contendere. Si tratta però di un anche decisamente minore, perché la nebbia economicistica – che, come tutte le nebbie, è realmente esistente – nasconde altri fatti più consistenti; magari quel TIR, saltato di corsia, che ci sta venendo addosso e che vediamo soltanto all’ultimo momento. Il confronto in corso è, in prima istanza, geopolitico; solo in seconda economico. E’ dunque di carattere preminentemente interna-zionale, poi anche interno. Per il momento finisco qui, giacché questa è solo la puntata di un lungo racconto.
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