
Chi è Paul Wolfowitz
Per coloro che non lo sapessero, Paul Wolfowitz è il presidente della Banca Mondiale. Ha fatto una bella carriera: ex vice-ministro della Difesa di Bush, è uno dei più accesi “neocon”, termine con cui, negli Stati Uniti, vengono identificati i neo-conservatori, che hanno preso il potere con l’arrivo di Bush alla Casa Bianca. Dopo essere “brillantemente” riuscito a provocare la guerra in Iraq, ha ottenuto il suo bastone di maresciallo a capo della Banca Mondiale, a riprova della profonda gratitudine del Presidente.
Conosciuto per il suo scetticismo nei riguardi delle politiche di aiuto allo sviluppo, ha condotto, durante il suo nuovo mandato, una crociata contro la corruzione, giustamente identificata come uno dei più grossi ostacoli allo sviluppo dei paesi poveri. A un certo punto si è però scoperto che, nel momento in cui ha assunto il potere ai vertici della Banca Mondiale, aveva organizzato il trasferimento, presso un ministero americano, di una persona a lui molto vicina, appartenente al personale della Banca. Il codice etico della Banca – perché ce n’è uno – gli vieta, infatti, di avere alle proprie dipendenze, dirette o indirette, la compagna della sua vita. Dal momento che, nella sua veste di “capo”, tutto il personale della Banca dipende da lui, questo trasferimento è perfettamente giustificato. Il problema è che in tale occasione la signora in questione ha ottenuto un aumento salariale, che va ben al di là delle consuete retribuzioni dell’ente. Si è rapidamente appurato che l’aumento era stato deciso dal presidente stesso, contro il parere di tutti i suoi collaboratori.
Davvero, un bello scandalo. Il crociato della guerra alla corruzione preso con le mani nel sacco. I sindacati del personale della Banca e parecchi dirigenti hanno chiesto le sue dimissioni, dichiarando che egli aveva perso la sua autorità. Fedele alla consegna di tutti i neocon, che non ammettono mai il minimo errore, Wolfowitz si è rifiutato di darle. Ciò mette in forse il governo della Banca Mondiale. Esattamente come il Fmi, la Banca è sottoposta all’autorità di un consiglio di governatori, costituito dai ministri dell’Economia o delle finanze dei paesi membri. Il consiglio si riunisce solo una volta l’anno, e dunque delega la sua autorità a un consiglio di amministrazione, composto da 24 persone residenti a Washington.
Europei molto prudenti
I cinque membri principali (Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti) dispongono di un loro amministratore personale, gli altri paesi si dividono i 19 restanti. Ogni amministratore ha diritto a un voto, proporzionale al peso politico di ogni paese-membro. Gli Stati Uniti dispongono del 16,4 per cento dei voti, gli europei ne controllano il 28,9 per cento, di cui il 4,3 per cento attribuito alla Francia. Perché tutti questi particolari? Perché il consiglio di amministrazione ha il potere di mandare via il presidente. Ma, a tutt’oggi, non l’ha fatto.
Attraverso la voce del loro Presidente in persona, gli Stati Uniti hanno fatto sapere che Wolfowitz conserva tutta la loro fiducia. Ma l’amministratore americano pesa solo per il 16,4 per cento. Si potrebbe pensare che gli altri amministratori non ne tengano conto. Si potrebbe egualmente pensare che gli amministratori europei, che si consultano regolarmente, intendano avviare un’operazione di pulizia interna. Niente di tutto questo, per il momento. Coloro che si sono assunti rischi personali pur di rendere nota la loro accusa, forse convinti che il consiglio di amministrazione avrebbe prontamente agito, devono sentirsi alquanto soli. Si sa comunque che è in corso una procedura e può darsi che gli amministratori europei attendano il momento propizio. Nell’attesa, hanno assunto un atteggiamento di prudenza, come se potessero esistere dubbi sulla conclusione della vicenda.
Come avviene sempre sia in seno al Fmi che alla Banca Mondiale, i paesi membri non si oppongono agli Stati Uniti, quando questi ultimi assumono una posizione decisa. Quasi tutte le loro decisioni, poi criticate, sono la conseguenza di questa rinuncia collettiva. Gli Stati Uniti svolgono il loro ruolo di primo azionista, ma in teoria il loro potere è limitato. Ciò che gli attribuisce un immenso potere non è il numero dei voti, ma l’incomprensibile sudditanza degli altri paesi membri, Francia ed Europa in testa.
L’affare Wolfowitz ne è l’esempio lampante. Non lo difende nessuno, tranne Bush. I suoi giorni sono sicuramente contati. Tra breve tempo, giorni o al massimo settimane, darà le dimissioni “per motivi personali”, in modo da potersene andare a testa alta. Ma lasciarlo andar via a testa alta è scandaloso e appanna l’immagine della Banca Mondiale, rafforzando per giunta l’impressione di strapotere degli Stati Uniti. Il motivo di scandalo non è Washington, ma Parigi, Berlino, Roma, Londra e tutte le capitali in cui si ritiene che non valga la pena mettersi in urto con la superpotenza per la reputazione della Banca Mondiale o del Fmi; e ciò nonostante gli innumerevoli bei discorsi che reclamano un mondo multipolare.
È comodo attaccare gli Stati Uniti sui nostri giornali e poi tacere a Washington. Lo sarebbe meno se i cittadini e i media cessassero di sbandierare contro-verità sul potere degli Stati Uniti e se chiedessero al loro ministro, nel caso della Francia a Thierry Breton, cosa viene fatto per ristabilire, ora, l’integrità della Banca Mondiale e, in altre occasioni, quella del Fmi.
* L’articolo appare anche sul sito www.telos-eu.com. Traduzione dal francese di Daniela Crocco
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