Acqua/La rete colabrodo fa volare le tariffe

Spesso di fronte al rubinetto della cucina in secca Luigi pensa a Ronald Stamp, l’imprenditore canadese che ha fatto i soldi con un’idea balzana: l’Aqua Borealis, il cuore di un iceberg «sciolto direttamente nel vostro bicchiere». Sembrava un’americanata e invece: 10 dollari a bottiglia negli Usa, 12 euro in Europa, un successone. Luigi si lava grazie a bacinelle e bottiglie riempite quando si può. Abita a Cosenza, che è primo mondo ma ci sono quartieri dove l’acqua corrente è un miraggio otto ore al giorno, da tarda mattina a sera. Pur trovandosi ai piedi della Sila, sotto montagne che custodiscono una delle falde più ricche d’Europa. Forse l’acqua è di tutti, domani potrebbe non essere per tutti.


Forse l’acqua è di tutti, domani potrebbe non essere per tutti. In Francia se sono accorti quando Perrier ha cominciato a metterla in lattina e a venderla al prezzo della Coca-Cola. O quando è arrivata Cloud Water, l’acqua delle nuvole, prezzo pre-euro 35 franchi francesi a bottiglia (cinque euro). E la questione non riguarda solo l’acqua in bottiglia. S’è capito che il prezzo è destinato a salire, scavando ancora il solco che divide i ricchi dai poveri. In Italia un metro cubo d’acqua costa 30 centesimi, la federazione delle società che gestiscono il ciclo idrico ha già pronunciato il suo verdetto, e chiede di arrivare prima che si può a tariffe «di livello europeo», formula usata di solito per indorare le pillole-fregatura. Anche questa volta, visto che il prezzo «europeo» è un euro a metro cubo, ovvero tre volte tanto l’attuale. Ci sono sei miliardi di buoni motivi per adeguarsi all’Europa. Il giro d’affari dell’acqua consumata dalle famiglie, il mercato più promettente, crescerebbe da 2,7 a 9 miliardi l’anno. E se, come dicono le società, «solo a quelle condizioni gli investimenti nelle infrastrutture diventerebbero sostenibili» significa che la neccessità di una gestione più economica comincerà a essere presa in considerazione solo a bollette tripilcate. Nel frattempo 8 milioni di italiani continueranno a vivere al di sotto del fabbisogno minimo quotidiano di acqua corrente, 50 litri. Taniche in spalla.

Si prospetta insomma un salasso per le tasche di un Paese colabrodo che ha la bella pretesa d’essere il terzo consumatore d’acqua del mondo (dopo Canada e  Stati Uniti) e il primo d’Europa. Che prospera su riserve ricchissime e si permette il lusso di incanalarle in tubature gocciolanti tra chiuse che non chiudono, rubinetti arrugginiti e acquedotti fallati. Dove un terzo dell’acqua che entra nelle condotte si smarrisce e in agricoltura (l’irrigazione rappresenta ancora il 70% dei consumi totali) le perdite raggiungono il 40%. Acqua che si volatilizza, e a volte non è neppure di qualità decente. Chi vive in Basilicata, per esempio, di solito beve acqua trattata: l’83,3% ha bisogno di essere «potabilizzata» prima di entrare nei tubi.

Senza dimenticare che ancor prima dll’allarme siccità e pur restando ben lontani dal «prezzo europeo», negli ultimi sei anni gli italiani hanno già pagato una stangata sonora, con un rincaro medio del 25%. «Medio» significa che c’è chi ha sborsato ben di più: quando, per esempio, i gestori della rete idrica sarda s sono raccolti sotto le bandiere di Abanoa (spa pubblica partecipata dagli enti locali) la tariffa s’è impennata del 27 per cento. E a Firenze con l’arrivo della spa a maggioranza pubblica (Publiacqua-Acea) tra 2002 e 2005 la «quota fissa» sulla bolletta è aumentata del 33 per cento. A Livorno il balzo ha sfiorato l’80%, ad Arezzo la tariffa è raddoppiata nel giro di cinque anni. A Frosinone e Latina, con la gestione Acqualatina, sono riusciti a fare di più. Bollette triplicate in tre anni.

Nessuno ha inventato nulla, gli aumenti riflettono il contenuto della legge Galli, che neI ‘94 ha rivoluzionato il servizio idrico e all’articolo 13 stabilisce: la bolletta dell’acqua deve assicurare «la copertura integrale dei costi d’investimento e d’esercizio», una remunerazione al 7% del capitale investito in impianti e attrezzature, più – già che ci siamo – gli utili senza i quali «l’eventuale partner privato» non avrebbe motivo d’essere della partita. I Comuni possono stabilire agevolazioni per i più poveri, ma la legge ha sgravato la spesa pubblica dei costi necessari per garantire a tutti l’accesso all’ acqua. Il denaro va trovato altrove. In Sardegna prima della Galli le tariffe coprivano il 58% dei costi, il resto lo metteva la Regione. Pochi anni del nuovo regime, ed è intervenuta la Corte dei Conti: il sistema di gestione delle acque, invece di migliorare, cominciava a peggiorare. Enti vecchi e nuovi che si sovrappongono, conflitti di competenza, Comuni che hanno frazionato gli appalti per evitare l’obbligo dì affidarli con bando pubNico: così oggi, nonostante i rincari, nessuno ha una fotografia precisa della situazione.

Infine i casi «cronici». In Sicilia l’acqua è da sempre cosa di mafia. Felice Marchese, fontaniere, venne ucciso nell’ottobre del 1874 nella guerra tra «Giardinieri» e «Stoppaglieri»: la guerra di mafia documentata. Da allora i pozzi, come tutte le ricchezze, sono in mano ai capifamiglia. Centotrent’anni dopo il 36,6% del territorio siciliano rischia la desertificazione. Ogni anno piovono sull’isola 7 miliardi di metri cubi, il triplo del necessario miliardi e 482 milioni). Intanto la Sicilia muore di sete e Ron Stamp continua a scavare l’oro degli iceberg.

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