La voce amica. Io talpo, tu talpi, egli talpa

Nel 1971, quando il giovane pretore torinese Raffaele Guariniello violò il sancta sanctorum della Fiat, negli archivi trovò 350 mila fra schede e dossier su lavoratori, sindacalisti, giornalisti, politici. E scoprì che lo spionaggio illegale della Fiat si avvaleva della complicità di uomini della questura, dei carabinieri e dei servizi segreti (allora si parlava dei «servizi deviati», oggi sono deviati quelli che non deviano). Di Marco Travaglio


In una cassaforte, già pronte, c’erano centinaia di buste di banconote destinate a chi, tra le forze dell’ordine, passava informazioni riservate agli schedatori aziendali. La stessa scena s’è squadernata sotto gli occhi degli investigatori milanesi che hanno scoperchiato gli spioni della Telecom, aiutati non solo da detective privati, ma anche da servitori dello Stato infedeli. Ormai non c’è indagine che coinvolga vip o semivip in cui presto o tardi (più presto che tardi) gli indagati non siano avvertiti dei loro telefoni sotto controllo. Visto che queste informazioni (queste sì) sono segrete, possono provenire solo da pubblici ufficiali, delle forze dell’ordine o di uffici giudiziari, e soprattutto danneggiano le indagini e aiutano gli indagati a sottrarsi alla giustizia e costituiscono il reato di favoreggiamento, dovrebbero suscitare allarme e contromisure per scoprire le talpe. Invece niente: le sole fughe di notizie che lo sono veramente, che causano danni irreparabili e andrebbero perseguite e prevenute con la massima severità, non sollevano alcun’attenzione. Tutti invece a prendersela con magistrati e giornalisti per le fughe di notizie che fughe di notizie non sono: quelle su intercettazioni e verbali che, una volta noti agli indagati, non sono più segreti e dunque pubblicabili. Nella primavera 2001 il boss Guttadauro, intercettato da mesi con cimici nascoste in salotto, stava per incontrare l’intera cupola di Cosa Nostra: una voce amica lo avvertì, lui smise di parlare e l’indagine andò a catafascio. Poi si scoprì che ad avvertirlo era stato un certo Totò. Secondo la Procura, era Cuffaro. Secondo Cuffaro, era qualcun altro, forse il principe Antonio De Curtis dall’aldilà.

La stessa scena si ripetè due anni dopo con Michele Aiello, il re delle cliniche ritenuto un prestanome di Provenzano: un giorno Totò (nel senso di Cuffaro) lo incontrò nel retrobottega di un negozio di biancheria intima di Bagheria, e da quel giorno Aiello smise di parlare al telefono di certe cose. Indagine rovinata. Si scoprì poi che Totò parlava dell’indagine con Berlusconi, che ne parlava con Pisanu, ma la Procura di Palermo preferì non approfondire. Nell’estate 2005 un’altra voce amica avvertì il governatore Fazio, Coppola, Ricucci & C. che avevano i telefoni sotto controllo, dopodichè la voce si sparse a tutti i compari. Anche Moggi & C., intercettati prima dalla Procura di Torino e poi da quella di Napoli, ebbe la soffiata giusta e fece attenzione ai suoi 12 o 13 telefonini, tant’è che cominciò a procurare a sé e agli amici (per esempio il designatore Paolo Bergamo) qualche scheda «sicura».

Lo stesso Moggi disponeva a suo piacimento di poliziotti per scortare le amiche nello shopping romano o di uomini Digos che seguivano le partite della Juventus e che, se trasferiti senza il suo consenso, venivano automaticamente reintegrati a Torino. Ora si scopre che persino Corona e Lele Mora avevano amici nella polizia, nei servizi, addirittura nelle banche (un’impiegata avvertì il paparazzo delle indagini avviate dall’Ufficio italiano cambi per conto del pm Woodcock). Non solo siamo circondati da ricattatori che tengono in pugno la politica (peraltro ricattabilissima) e lo star system che le gira attorno, ma chiunque metta in piedi un’associazione per delinquere trova immediate complicità fra chi dovrebbe arrestarlo. Basta grattare un po’, e per ogni mascalzone salta fuori una talpa che gli dà una mano. La frase sconsolata del re del porno Schicchi – «In Italia ci sono quelli che si divertono e quelli che giudicano» – si rivela colpevolmente riduttiva: ci sono quelli che si divertono, quelli che giudicano, e quelli che dovrebbero giudicare e invece si divertono un mondo anche loro.

(Tratto da l’Unità)

Be the first to comment on "La voce amica. Io talpo, tu talpi, egli talpa"

Leave a comment