Fidarsi è bene non fidarsi è meglio?

doingDi Sonia Messori

Nell’ultima edizione della classifica elaborata dalla Banca Mondiale “Doing business 2017”, il rapporto che la stessa stila annualmente per investigare la facilità di fare impresa nei diversi paesi del mondo, l’Italia perde cinque posizioni rispetto all’anno scorso, passando dal quarantacinquesimo al cinquantesimo posto, vedendosi superata anche da nazioni come Moldovia (salita dalla cinquantaduesima alla quarantaquattresima posizione) e Serbia (salita dalla cinquantanovesima alla quarantasettesima). I paesi inclusi nella classifica 2017 sono 190 (erano 189 nel 2016) tuttavia, per valutare più correttamente la situazione dell’Italia sembra opportuno paragonarci con gli altri membri dell’Unione Europea, e non con i paesi del terzo mondo rispetto ai quali, fortunatamente, siamo ancora un passo avanti. Osservando l’ultima edizione della classifica contenuta nel citato rapporto della Banca Mondiale si nota che l’Italia mantiene il quartultimo posto tra i 28 paesi appartenenti all’Unione Europea, davanti solo a Lussemburgo, Grecia e Malta. Si tratta della stessa posizione già occupata nella classifica contenuta nel rapporto dell’anno scorso.

Ciò malgrado, la scarsa capacità dell’Italia di attrarre gli investimenti non sembra preoccupare il governo Renzi, il quale anzi non appare interessarsi nemmeno della perdita di credibilità presso gli investitori esteri nella quale il nostro paese incorre a causa della diffusione, da parte sua, di informazioni non accurate.

Un esempio di questa scarsa attenzione per la credibilità internazionale dell’Italia è rappresentato dalla pubblicazione della brochure Invest in Italy realizzata dall’ITA – Italian Trade Agency (un ente governativo che incoraggia, d’intesa con il Ministero dello Sviluppo Economico, l’internazionalizzazione dell’economia italiana) per attirare investitori esteri. Eleonora Voltolina con un articolo pubblicato su Linkiesta ha richiamato l’attenzione sul fatto che tra i caratteri del nostro paese pubblicizzati da questa brochure vi sia la minore crescita del costo del lavoro rispetto ad altri paesi europei (+1.18% nel 2014 rispetto al 2011 in confronto al +2.32% della Germania, per esempio) e, più specificamente, la più bassa retribuzione annua degli ingegneri italiani rispetto alla media europea (38.500 euro rispetto a una media europea di 48.500). Nella brochure di ITA, non a caso, viene però omesso ogni riferimento all’andamento della produttività della nostra forza lavoro (stagnante ormai da anni), essenziale per ricostruire l’evoluzione del rapporto tra costo del lavoro e produttività sulla base del quale è possibile determinare in quale paese sia più conveniente investire. Inoltre, viene fatta leva solo sul basso livello del costo del lavoro, sul quale tuttavia non possiamo essere competitivi rispetto ai paesi asiatici, e non sulla qualità della nostra forza lavoro che potrebbe invece attirare aziende che vogliono investire in paesi caratterizzati dalla presenza di maestranze altamente qualificate, come la Svizzera.

Tuttavia l’aspetto maggiormente sconcertante della brochure è da ricercarsi nella modalità di presentazione, definita da Giuseppe Marotta da pubblicità ingannevole, dei dati riguardanti il miglioramento della posizione del nostro paese tra i rapporti Doing business 2012 e 2016. Secondo il Ministero per lo Sviluppo Economico il confronto tra i due rapporti evidenzia una scalata da parte dell’Italia nella classifica dei paesi nei quali è più facile fare impresa di 42 posizioni (dall’87esimo al 45esimo posto). Quest’affermazione presenta il problema di non tener conto del cambio della metodologia utilizzata a partire dal rapporto 2015, per cui viene ignorata l’impossibilità di confrontare i dati contenuti in questo rapporto e in quelli successivi con quelli contenuti nei rapporti precedenti, pur esplicitamente richiamata dalla pubblicazione della Banca Mondiale.

Ancora, l’introduzione della brochure, scritta dal sottosegretario allo Sviluppo Economico Ivan Scalfarotto, considera la nuova legge elettorale e la riforma costituzionale come già acquisite, sebbene nel luglio 2016, mese in cui è stata pubblicata la brochure, fosse già noto il fatto che in autunno si sarebbe svolto nel nostro paese un referendum costituzionale dall’esito nient’affatto scontato. Oggi si parla apertamente anche di possibili modifiche all’Italicum. I citati cambiamenti nella Costituzione e nella legge elettorale, volti a garantire stabilità e migliore efficienza legislativa, e quindi una situazione ambientale più attraente per gli investitori, concretamente non sono ancora avvenuti e non è detto che avverranno.

Abbiamo già perso credibilità internazionale diffondendo informazioni che con qualche ricerca possono essere velocemente falsificate dai destinatari di “Invest in Italy” come dagli stessi cittadini. Adesso che stiamo anche perdendo posizioni (forse anche come conseguenza della perdita di credibilità derivante dal nostro modo quantomeno disinvolto di informare i possibili investitori) nella classifica mondiale della facilità di fare impresa, come possiamo sperare di attirare investimenti esteri?

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