Battaglia mortale in Siria

 Omran Daqneesh

Omran Daqneesh

di Patrick Cockburn – 20 agosto 2016

Il bambino di cinque anni Omran Daqneesh, il volto sanguinante e ferito dallo scoppio di una bomba, fissa stordito un mondo in cui qualcuno ha appena tentato di ucciderlo. Foto della sua piccola figura sul retro di un’ambulanza ad Aleppo sono divenute rapidamente il simbolo vivente del massacro in Siria e in Iraq.

In passato ci sarebbero state più richieste di reazioni pretestuose alle ultime atrocità in Siria, con richieste dell’immediata deposizione del presidente Bashar al-Assad o di zone d’interdizione al volo; misure che suonano positive ma che non saranno prese mai. Questa volta c’è internazionalmente una maggior cautela riguardo a soluzioni rapide, aprendo la via a iniziative più realistiche per ridurre l’attuale orrendo livello di violenza.

Sono sempre nervoso riguardo a proporre qualcosa che potrebbe mitigare la barbarie della guerra in Siria e in Iraq perché spiegare quali aspetti della situazione, per quanto omicidi, non possono essere cambiati pare giustificarli. Ad esempio, la politica britannica dal 2011 è stata che Assad doveva andarsene, ma questo non sarebbe successo mai perché egli controllava la maggior parte dei centri della popolazione ed era sostenuto da Russia e Iran. Fingere che le cose stessero diversamente ha potuto suonare benevolo, ma ha fornito gli ingredienti per una guerra senza fine.

Il conflitto è così difficile da concludere perché si tratta di mezza dozzina di crisi e di confronti combinati in uno solo: arabi sunniti contro alauiti e le minoranze al governo; abbienti contro poveri; laici contro islamisti; città contro campagna; curdi contro arabi; curdi contro turchi; sunniti contro sciiti; Iran contro Arabia Saudita; Russia contro Stati Uniti, ma a volte collaborante con essi.

La complessità di tutto questo è stata ben descritta da un giornalista come scacchi tridimensionali giocati da nove giocatori e senza regole.

Gli assedi gemelli dell’ovest di Aleppo controllato dal governo e dell’est controllato dai ribelli, con i due antagonisti impigliati tra loro in un abbraccio mortale, sono l’apoteosi del conflitto siriano. Una descrizione più grezza potrebbe essere uno “stallo alla messicana” in cui nessuna delle parti può avanzare o ritirarsi senza pericolo. La Russia ha proposto un cessate il fuoco di 48 ore ma, anche se sarà attuato, non cambierà la situazione complessiva in cui bambini come Omran Daqneesh sono uccisi, mutilati o resi orfani.

Tutte le parti sono terrorizzate le une dalle altre e con buone ragioni: Amnesty International ha pubblicato la settimana scorsa un rapporto che ha descritto come 17.723 persone, cioè 300 al mese, sono state torturate o messe diversamente a morte dal 2011 in carceri del governo siriano. La maggior parte dei 4,8 milioni di profughi siriani proviene da aree d’opposizione, molte delle quali sono state rase al suolo da bombe, granate e bulldozer, cosicché sembrano fotografie della Varsavia del 1945.

Nel complesso le comunità arabe sunnite in Siria e in Iraq affrontano la rovina con tutte le loro città devastate o spopolate, da Fallujah ad Aleppo, e con il loro ultimo grande bastione, Mosul, prossimo a finire sotto attacco.

Anche i sostenitori del governo ad Aleppo ovest vivono nel terrore di una vittoria salafita-jihadista da parte di un’opposizione che non si preoccupa più di nascondere i suoi propositi settari. Il più recente attacco da parte di ribelli, che ha parzialmente spezzato l’assedio di Aleppo est e tagliato la principale via di rifornimento per l’ovest, è stato chiamato offensiva “Ibrahim al-Yousef”. Yousef era il nome di un ufficiale dell’esercito siriano nel 1979 che era segretamente membro di un gruppo ribelle sunnita e che orchestrò l’uccisione di 32 alauiti e il ferimento di altri 54 in famigerato massacro presso la Scuola di Artiglieria di Aleppo. Jabhat al-Nusra, i cui combattenti hanno condotto la riuscita offensiva, ha cambiato il suo nome in Jabhat Fateh al-Sham e ha formalmente tagliato i suoi collegamenti con al-Qaeda, non si preoccupa di celare il suo programma sunnita estremamente settario.

Ogni comunità in Siria sente di combattere una battaglia per l’esistenza che può finire solo con la vittoria o con la sconfitta. Nel caso di quest’ultima, come solevano dire gli algerini francesi, non ci saranno altre scelte che “la valigia o la bara”. Ma per quanto brutta sia la situazione non è del tutto priva di speranza e, anche se nessuno è in condizioni di conseguire una vittoria decisiva, la situazione politica sul campo in effetti si sviluppa e muta e non sempre in modo negativo.

Il cambiamento maggiore negli ultimi due anni è che USA e Russia sono entrati in guerra. Questo rende il conflitto più intenso e introduce rivalità da Guerra Fredda, ma ha il vantaggio che i pezzi grossi sono oggi pubblicamente impegnati nel conflitto. Hanno influenza, anche se non hanno realmente il controllo, sui loro alleati e delegati e potrebbero, in teoria, organizzare cessate il fuoco che siano più che propaganda.

Ma un motivo per cui la guerra continua è che molti che vi partecipano hanno molto da guadagnare continuando a combattere. Per la Russia il campo di battaglia siriano è risultato essere un luogo unicamente vantaggioso per ricalibrare le sue relazioni con il resto del mondo. La settimana scorsa ha cominciato a usare la base di Hamadan in Iran e sta collaborando militarmente con la cintura dei paesi – Iran, Iraq, Siria e Libano – in cui la Shia è l’elemento politico più potente.

L’asse sunnita contrario ad Assad – più notevolmente Turchia, Arabia Saudita e Qatar – è stato indebolito dal fallito colpo di stato militare in Turchia. In precedenza in agosto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha visitato San Pietroburgo per colloqui con il presidente Putin che possono modificare, anche se non trasformare, il sostegno della Turchia alle forze ribelli in Siria.

Ma il guadagno della Russia non è necessariamente una perdita per gli Stati Uniti e la politica del presidente Obama in Siria e in Iraq è stata più riuscita di quanto i suoi critici gli riconoscano merito. Sta respingendo l’ISIS in entrambi i paesi, principalmente usando attacchi aerei per mettere a disposizione una schiacciante potenza aerea di fuoco ai suoi alleati sul terreno. Non è solo che l’ISIS ha perso città e cittadine importanti come Ramadi, Fallujah e Manbij, ma che non è stato in grado di lanciare contrattacchi efficaci per più di un anno (salvo sotto forma di attacchi terroristici contro civili in Medio Oriente e in Europa).

In Iraq la guerra sta arrivando in prossimità di una decisiva vittoria della Shia e dei curdi (quattro quindi della popolazione) sugli arabi sunniti (un quinto). Lo stesso potrebbe avvenire in Siria, dove gli arabi sunniti sono il 60 per cento dei siriani? Forse, ma la dirigenza baathista di Damasco è sempre stata meglio capace di evitare la sconfitta che di conquistare una vittoria permanente. Questa è stata la lezione dell’invasione israeliana del Libano nel 1982 e della lunga lotta per il Libano negli anni seguenti.

Molto dello stesso è avvenuto in Siria dal 2011, con Assad che si rifiuta di scendere a compromessi con uno qualsiasi dei suoi numerosi nemici. Ma poiché i baathisti sono migliori nel giocare carte deboli che forti, tendono a esagerare la propria forza e mancanza di flessibilità per vincere definitivamente la partita. Sottovalutano la capacità di combattimento di Nusra e la misura in cui attingere a sunniti scontenti nelle campagne della Siria settentrionale.

Un segnale incoraggiante potrebbe essere che i quindici anni della guerra civile libanese alla fine sono terminati, ma la Siria è inserita in troppi conflitti regionali perché i combattimenti terminino in qualsiasi momento prossimo. Accadrà soltanto quando più vincitori e vinti emergeranno nei molti campi di battaglia della Siria.

Patrick Cockburn è l’autore di ‘The Rise of Islamic State: ISIS and the New Sunni Revolution’.

 

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/a-battle-to-the-death-in-syria/

Originale: The Independent

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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