I cravattari di Stato

I nostri politici, di destra come di sinistra, li abbiamo visti e sentiti fino alla nausea in questa estate a fare il gioco delle parti per imbonire il corpo elettorale e la cittadinanza. Alla “destra” è toccata la patata bollente di doversi piegare docilmente ai desiderata di Bruxelles e Francoforte, alla “sinistra” l’ennesima occasione per riproporre una volta di più le arcisentite manfrine sugli evasori, i sacrificichecelichiedeleuropa ma noi li faremmo meglio e l’evergreen delle “lenzuolate”. Tutto si è sempre risolto nella ricerca del capro espiatorio. “Misericordia, non sacrifici io voglio” (Mt, 12, 1-8), disse uno. E finì male. Eppure, se ci pensiamo la manovra è tutta incentrata sui dipendenti pubblici, sui pensionati e sui redditi medi o medio bassi. Lì pescheranno per l’ennesima operazione depressiva e incapace di spezzare il ciclo economico e riattivare la famosa “crescita”, ammesso e non concesso che sia una finalità da perseguirsi. E la sinistra per tutta risposta ritorna con gli evasori, la casta (Di Pietro) e la necessità di assecondare in ogni modo l’Europa, incurante dei problemi che essa stessa ha provocato. Dico problemi con un eufemismo, perché se vera come pare, la “lettera” della BCE ha un evidente rilievo penale!
Dicevo del capro espiatorio: provate a pensare quanti ne abbiamo sentiti in questi anni. Gli insegnati che fanno tre mesi di ferie all’anno, i giudici che lavorano mezza giornata, i dipendenti di Pomigliano che si mettono in malattia perché gioca la Nazionale, i dipendenti dell’Alitalia che hanno il taxi che li porta a casa, sui dipendenti pubblici come massa indistinta poi non ne parliamo. Ora stiamo vedendo quanto avanti vanno le scuole senza bidelli. E come non citare i “bamboccioni”? Credo si tratti con ogni evidenza di una ben precisa strategia per infrangere la solidarietà sociale, la coesione delle opposizioni e instaurare la dinamica da “cappone di Renzo”.
Ebbene, questi famosi “sacrifici” che dobbiamo affrontare parrebbero determinati da un’assenza di entrate o da un eccesso di uscite nelle casse pubbliche, questo perché troppe persone “non pagano le tasse”, questo ci racconta TelePyongyang, il sistema informativo di BungaBunga Republic. Al di là del fatto che non vengono pagate le imposte, perché è con quelle che si finanzia la fiscalità generale e non certo con le tasse, va specificato che oltre il 20% delle entrate fiscali se ne va per interessi sul debito (circa l’8% del PIL). Purtroppo molti non tengono presente che una parte della pressione fiscale, diciamo approssimativamente la metà è pressione contributiva (INPS e INAIL più altre contribuzioni) mentre l’altra metà è pressione tributaria. Le due grandezze unite sono il “calderone” della spesa pubblica che globalmente costituisce un 40% abbondante del PIL, ecco dunque perché si spende “solo l’1% del PIL” per questo o quello: ovvio, va parametrato sul dato della pressione tributaria! Dunque con le proprie imposte anzitutto si pagano le banche e gli altri enti detentori di titoli di debito pubblico (chi c’è di più bisognoso di una banca d’affari??), poi si paga la corruzione (prudente stima, 60 miliardi di euro all’anno) e poi, con quel che resta, si pagano salari ai dipendenti pubblici, infrastrutture, contribuzioni, investimenti e quant’altro. Ciò incidentalmente dovrebbe demolire la bufala dei tagli al nostro welfare, definito “troppo generoso”: ad una analisi storica minimamente seria, risulta evidente che l’esperienza del welfare state sia stata realizzata con una certa pregnanza in Italia nel breve lasso di tempo che va da metà degli anni 60 alla fine degli anni 80. Il sistema sanitario nazionale è creazione della fine degli anni 70, la scuola media unica fu una conquista strappata tra mille problemi con le unghie e con i denti, le case popolari sono sensibilmente inferiori alla media europea e l’università è tutt’altro che gratuita, guardando peraltro i servizi che eroga. Non parliamo poi del fatto che, ad oggi, non esiste un programma nazionale di contrasto alla povertà né una forma di sostegno al reddito.
Con questi semplici dati, credo non sia difficile intuire che siamo in mano a veri e propri cravattari. Le varie banche detentrici di titoli di debito pubblico e i cosiddetti “mercati” si comportano come gli strozzini: prima la sparano grossa, poi ti danno una mano (acquisto di titoli sul mercato secondario, non certo su quello primario!), poi tornano alla carica e ti danno un ultimatum. Poi fanno la voce grossa e tu paghi, poi ti bruciano la macchina e tu paghi, ma non ce la fai più e quindi implori pietà e loro ti danno due giorni di tregua, e tornano più rapaci di prima. Finché non si ripudierà il meccanismo, sarà sempre così, e sempre peggio. Se si è vittima di usura, ci vuole coraggio ad andare dalla Polizia e denunciare. Lo stesso se si è vittime dell’usura politica ci vuole coraggio a denunciare all’opinione pubblica i responsabili. Non sai come andrà a finire, ma se non lo fai è sicuro che finisce male. Ora è giunto il momento di giocarsi l’unica carta rimasta, il cui esito è peraltro molto incerto poiché la sacrosanta opposizione sociale non riesce a trovare una referenza politica.
Un tempo la categoria più invidiata erano i “boiardi di stato”, quegli amministratori e dirigenti delle grandi aziende irizzate del parastato, per le possibilità di lucro in quella zona grigia tra impresa e pubblica amministrazione che consentiva loro di sfruttare i vantaggi dell’una e quelli dell’altra. Oggi siamo passati dai boiardi ai cravattari. Il progresso, bellezza.

Alberto Leoncini
albertoleoncini@libero.it

 

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