L’immacolata concezione di Mario

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Proclamato un nuovo dogma: il papa laico, così chiamato da Nichi Vendola ai primi di luglio, Mario Draghi è anche senza peccato. Che, come tutti i sommi pontefici fosse infallibile ex cathedra, era ben noto e scontato, ma che il neogovernatore BCE fosse anche degno dell’immacolata concezione, l’abbiamo scoperto solo dopo la sua entrata, pardon ascensione, nella stanza dei bottoni di Francoforte. Evidentemente l’opinione pubblica deve essere indotta a ritenere bagattelle il fatto che il Nostro venga da Goldman Sachs (un nome un programma), sia stato alla Banca Mondiale e abbia giocato un ruolo di primissimo piano nelle cosiddette “privatizzazioni” in Italia, che altro non sono state se non il depauperamento del nerbo industriale del Paese con la sola, unica e deliberata finalità di generare rendite di posizione e benefici per multinazionali e finanziarie a spese del “parco buoi”, pardon, dei cittadini. Spaventa, dicevo, il fatto che anche il pigolante centro sinistra (direi più propriamente centroqualcosa, che “sinistra” mi sembra un po’ eccessivo) ne sia estasiato, e valuti le sue “ricette” come oro colato. Non si capisce come si possa pensare di uscire dall’attuale crisi senza rigettare il presente modello di crescita, non di sviluppo beninteso, senza ridiscutere i principi con i quali viene gestita la politica economica e, specialmente, senza mettere in discussione l’intreccio perverso tra finanza (banche e agenzie di rating, anzitutto) e organismi europei. Ebbene, proprio l’esponente apicale del disfacimento della sovranità, o di quel piccolo embrione che si sarebbe potuto creare dopo la fine del mondo in blocchi, viene ora additato come campione di ogni probità civica. Ci duole dirlo, ma il regimetto di cartone che oggi comanda in Italia deve necessariamente essere spazzato via con una rinnovata affermazione di sovranità politica e con una proposta di rottura, non certo con la riesumazione di una “reaganomics dei poveri” condita con uno stucchevole pietismo verso i “giovani”. Altrimenti il conducator meneghino potrà continuare a usare impunemente l’unica, efficace, arma che gli è rimasta: quella di porsi come antemurale fra il popolo e i “poteri forti”, le banche e in generale la finanza. Piaccia o no è un ottimo argomento, sul quale la destra ha un indiscusso appeal, almeno in termini di marketing politico. C’è di più: che volete che sia il conflitto di interessi (enorme) di Berlusconi rispetto ai legami di Draghi con il bel mondo, si fa per dire, del potere economico? Il nostro premier ci appare un bulletto di periferia, un ras, un caporione. Nulla a che vedere con le stanze ovattate in cui quotidianamente si muovono Draghi e il suo mondo.

Che la realtà sia poi un’altra e più sfumata non si discute, ma fintanto che la compagine di governo non sarà messa alle strette su quel versante la caduta è questione di là da venire. E comunque si riproporrebbe, pedissequamente, una riedizione del governo Prodi, con l’idea che, aprendo i barbieri di lunedì si spiani la strada ad una nuova età dell’oro. Questo tipo di “piccolo cabotaggio” può funzionare, ed è anzi fondamentale, negli enti locali, ma la politica nazionale necessità di un coraggio che l’opposizione di oggi nemmeno è capace di immaginare. Non ci si illuda che la figura di Draghi possa avere un qualche peso per “avvantaggiare” l’Italia, difatti il Nostro ha sempre giocato al “tanto peggio, tanto meglio”, senza contare che è l’esponente di un paese “fottuto”, come definito dalla bibbia della finanza, l’Economist. E qui il beneamato primo ministro può continuare a ululare contro le plutocrazie che affamano le nazioni proletarie. Anzi no, era un altro, forse mi confondo, ma sono comunque cavalieri tutti e due. C’è poco da girarci attorno, la rinegoziazione degli assetti dell’Unione Europea è, in questo senso, esigenza improcrastinabile. Purtroppo ci siamo fatti gabbare fin troppo con la sacralità del progetto federativo europeo e oggi ne paghiamo lo scotto, difatti fino a pochi mesi fa il solo accenno di critica veniva tacciato come bestemmia e l’avvenire dell’Euro pareva, nonostante tutto, procedere con il vento in poppa. Qualche settimana fa anche il diffusissimo settimanale tedesco (non greco o spagnolo!) “Der Spiegel” ha stampato una copertina con la moneta da un Euro listata a lutto. La forza dei simboli.

A quanto mi consta, ma sarò più che felice di essere smentito, l’unico movimento politico di sinistra che ha avanzato la proposta di un’uscita dell’Italia dall’Unione Europea e dall’Euro è Marco Rizzo e “Comunisti-Sinistra popolare”. Staremo a vedere quante legnate sarà necessario prendere prima di aprire gli occhi.



A questo proposito leggere il libro “Eurolobbisti” di Matteo Lazzarini (http://www.eurolobbisti.be/ Mursia, €10,00 pp.163) è un’esperienza a metà strada tra Pirandello e il teatro dell’assurdo. Parrebbe naturale, a quanto sembra, essere considerati un parco buoi e lo stravolgimento dei più basilari requisiti della convivenza civile e della rappresentanza democratica (che parolone!) parrebbe essere cosa assolutamente scontata e pacifica. Questo, brutalmente e semplicisticamente quanto si vuole, il nocciolo del libro. C’è quantomeno di che meravigliarsi, stante che l’Unione Europea dovrebbe garantire il “libero mercato”, quello dove ci sono: perfetta informazione, nessun vincolo nell’incontro tra domanda e offerta, nessuna alterazione dei meccanismi della concorrenza. Peccato che l’attività di lobbing sia precipuamente indirizzata all’acquisizione di “beni posizionali”, cioè a fare i parassiti del mercato, falsandolo. Prima di entrare nel merito mi dovrebbe spiegare questa piccola contraddizione sul piano logico, prima che politico, economico, sociale etc…

Ben altra stigmatizzazione meriterebbe lo scandaloso mercato delle vacche che quotidianamente ha luogo nei salotti comunitari, tanto più è notizia di cronaca quella di alcuni deputati sloveni che devono rispondere di rapporti poco limpidi con le lobby della finanza.

Lo sforzo, notevolissimo e appassionato, compiuto dall’autore per dare una qualche veste di credibilità e meritevolezza civica a queste realtà (tanto da voler far apparire tale mondo “piacevole” e “divertente”, sic) che non esito a definire paramafiose ricorda quello dei sofisti che componevano “Encomi” a Elena di Troia esaltandone le virtù di angelo del focolare e nume tutelare della sacralità della coppia.

Sintetizzerò alcuni aspetti di criticità che mi sembra utile far presente, senza pretesa di esaustività, visto che a voler criticare il sistema europeo ci vorrebbe ben più di questo articolo, e onestamente non me la sento nemmeno di prendermela con il libro, visto che, comunque, chiunque abbia un minimo di sale in zucca può farsi una sua opinione a partire da quanto scritto nelle pagine, che, complessivamente è esaustivo per un approccio divulgativo.

A pag. 36/37 non viene minimamente criticato il fatto (pirandelliano, questo si!) delle tre sedi contemporanee: Lussemburgo, Bruxelles e Strasburgo. Inoltre l’autore nel citare i gruppi politici del Parlamento Europeo segnala solo la collocazione della Lega fra i partiti italiani. Il banco degli asini, senza capire che più si lascia aperto lo spazio dell’euroscetticismo più la Lega se ne approprierà e continuerà a macinare consensi. Forse sarebbe anche il caso di pensare da dove spuntino.

L’autore inoltre prosegue con una disamina sul “disinteresse” e “l’ignoranza” degli italiani e dei media nostrani verso le istituzioni comunitarie. Lodevole intento, peccato che le fonti citate dall’autore siano quasi tutte giornalistiche (emblematico il caso della confusione fra CEDU e Corte di Giustizia) e mai riviste scientifiche, ad esempio di dottrina giuridica, dove si possono trovare pagine intere di critiche serie e motivate al progetto europeo. Come è lodevole che l’autore sia prodigo di consigli a coloro che vogliano aprire una lobby a Bruxelles, ma al di là dell’aspetto etico della cosa, sarebbe forse da sottolineare che è e rimane sempre una faccenda per pesci almeno medi, e che i cittadini che vivono onestamente del proprio lavoro farebbero volentieri a meno di questo sottobosco.

 

Alberto Leoncini

albertoleoncini@libero.it

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