150 anni e ancora non lo sa, si dimentica sempre a casa la carta d’identita’

Lo sciovinismo straccione che sta caratterizzando la vicenda Parmalat-Lactalis è l’ennesima riprova di come, bandiere e anniversari a parte, il nostro Paese sia solo una grande colonia commerciale formata da un parco-buoi di sessanta milioni di consumatori, terreno di conquista per le multinazionali di ogni settore. Non si tratta difatti dei soli assetti proprietari di un grande gruppo industriale, ma di un più complesso novero di problematiche da ricondursi al fatto che la sovranità nazionale e l’autodeterminazione economica siano perse, e da un bel pezzo. Il governo si dà tanto da fare probabilmente per rifarsi un’immagine agli occhi dell’opinione pubblica ancora memore delle (belle) feste di questo periodo quando ormai i più rilevanti pezzi dell’industria nazionale e, in misura ancor maggiore, i settori merceologici quali- quantitativamente più rilevanti sono bellamente all’estero, dietro più o meno evidenti paraventi. Ciò sotto due profili: da un lato abbiamo perso le grandi produzioni in termini di volumi e indotto(tessile, ceramiche, complementi d’arredo per fare alcuni esempi), dall’altro anche le produzioni strategiche (Nuovo Pignone, acciaio magnetico, la tecnologia del Pendolino, senza dimenticare il clamoroso caso Olivetti) sono ormai al lumicino o acquisite da multinazionali estere.
A riprova di questo basti dire che la soluzione “italiana” al caso Parmalat vedrebbe in prima fila Ferrero. Italianissima multinazionale….La cui holding di governo ha sede in Lussemburgo!
La verità, a mio avviso, è che tutti si aspettavano il momento delle celebrazioni dell’anniversario dell’unificazione italiana come, da un lato, un tronfio esempio di retorica e, dall’altro, come l’ennesimo polpettone nazionalpopolare che allinea verso il basso la coscienza sociale del Paese. E invece non è stato così: c’è stata la genuina riscoperta di una storia comune e di un potenziale costantemente ridimensionato e frustrato dalla politica del malaffare e dagli oligopoli finanziari. Certo, non so se la consapevolezza si estrinsechi in questi termini, è fuor di dubbio però che la risposta del Paese c’è stata e il governo ha ben pensato di cavalcarla per risalire la china dei sondaggi e del consenso sfruttando il fatto che l’opposizione e i suoi esponenti si siano resi (co)responsabili dello scempio di cui sopra, pertanto sono ricattabili. Prodi infatti è solo il simbolo di un sistema di connivenze, non certo l’unico. Si tratta, come dicevo, di una mossa di pura facciata perché pensare che vi sia una parità sostanziale fra l’Italia e gli altri partner economici dei “salotti buoni”, oggi la Francia ma si potrebbe parlare di Germania, USA o Cina è una puerile illusione. Quali sono le leve che permettono all’Italia di avere un potere contrattuale effettivo?
Quale che ne sia il colore, sono almeno vent’anni che il patrimonio industriale, intellettuale e gli asset strategici del sistema paese sono vilipesi e svenduti in ogni campo pertanto lo stato di prostrazione economica ma, ancor di più, sociale in cui versano aree sempre più estese sono l’esito di una deliberata politica antinazionale e predatoria. Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra condizione non è tanto differente da certe nazioni africane dove si corrompono i capi tribù per poter sfruttare giacimenti diamantiferi e altre risorse distruggendo l’ambiente e il tessuto sociale in cambio di uno sviluppo miserrimo. Portare l’Africa in Italia, parafrasando una battuta che girava quando Veltroni s’era ben guardato dall’andarci, in Africa, dopo la sua sconfitta politica come invece aveva solennemente dichiarato, è stata la linea politica dei nostri governi che, per il letterale piatto di lenticchie, hanno inibito ogni spinta positiva della società civile tagliandole i viveri nel senso proprio del termine: precarizzazione seriale, disincentivo allo studio, privatizzazioni su vasta scala con la benedizione dell’Europa salvo continuare a presentare bilanci pubblici da incubo per spingere nell’avvitamento a picco, tagli sistematici all’assistenza sociale e alla previdenza il tutto condito con la marginalizzazione del dissenso. L’opposizione sociale è stata annichilita dal ricatto veicolato con enti sopranazionali e adespoti (Unione Europea in primis, ma non dimenticherei il WTO, la Banca Mondiale e le agenzie di rating) il cui programmatico fine è stato quello di far perdere all’Italia l’idea di sé stessa, di pensare che gli unici fattori unificanti fossero la nazionale di calcio e la televisione. Non solo Berlusconi, insomma, con buona pace dei commentatori di cui abbonda la nostra opposizione a buon mercato.
Ci è stata dunque requisita la “carta di identità”, parafrasando “Occhi neri” di Marco Rancati, sebbene anche il nostro Paese abbia da tempo raggiunto la maturità. Ecco perché quando Muti ha diretto il bis del “Va’ pensiero” (che ha solide radici risorgimentali, come dovrebbe essere spiegato al Trota) lo scorso 17 marzo dicendo che “siamo a casa nostra, fra di noi” e che l’Italia rischia di diventare una patria “bella e perduta” ha, a mio avviso, colto davvero nel segno rispetto a quello che dovrebbe essere il senso di appartenenza attorno al quale deve svilupparsi la convivenza civile.

Alberto Leoncini
albertoleoncini@libero.it

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