Trasporto aereo: triste, solitario y final. Ripensare alla vicenda Alitalia con un documentario

Tra tutti i settori in crisi che oggi ci sono in Italia, ve n’e’ uno con alcune peculiarita’: il trasporto aereo. Se nella generalita’ dei comparti produttivi industriali, il problema è l’assenza della politica, complessivamente intesa come insieme di supporti per le imprese, il loro sviluppo, l’accesso al credito fino alla tutela per il lavoro subordinato nei momenti di difficoltà; nel trasporto aereo il problema è opposto: la politica è onnipresente.


Il motivo non è difficile da intuire poiché gli aeroporti e le strutture ad essi affini sono dei formidabili bacini per la creazione del consenso e per l’attribuzione di posti e prebende al folto novero dei trombati dalle precedenti tornate elettorali. Ovviamente le società che li controllano sono spessissimo in rosso, necessitando di continue iniezioni di capitale, pubblico. Tutto questo per avere un aeroporto ogni 40 chilometri…Altro che paese dei campanili, siamo il paese delle torri di controllo…

Certo, sarebbe ridicolo e poco serio, addossare la totalità della colpa alla nostrana classe politica, perché tutte le maggiori società legate al ramo stanno subendo drastici cali di fatturato e redditività, basti pensare all’emblematico caso di British Airways che ha chiesto ai suoi dipendenti di lavorare gratis…Stringere i denti e sperare in una sempre più aleatoria ripresa… Questa la logica in genere; è tuttavia innegabile che il nostro Paese sconti un pesante retaggio di clientele e malgoverno che acuiscono una congiuntura pessima, destinata a perdurare senza grossi miglioramenti anche perché, qualora arrivasse la ripresa, torno a ribadire, che il prezzo del petrolio (che può arrivare a incidere fino a un terzo dei costi vivi di una compagnia aerea) tornerebbe su quotazioni nettamente più alte delle attuali, quindi le prospettive non sono poi così esaltanti…

Gli aeroporti italiani con i conti in regola si stanno lanciando in operazioni che cercano in ogni modo di svincolarsi dal core business del trasporto aereo, per inseguire un miraggio di redditività sfruttando il comunque significativo introito di cassa generato dalle tasse aeroportuali e dai diritti di traffico, oltre che da affitti e proventi vari con i quali si spiumano i malcapitati turisti/passeggeri…Ma questo non mi sembra un eccellente modo per tutelare la collettività che dovrebbe poter fruire di servizi aerei migliori e più efficienti.

Chi se ne avvantaggia? Anzitutto gli operatori aerei di altri paesi, che operano sui nostri scali a condizioni di estremo favore, generando un indotto occupazionale e turistico (saldo partenze/arrivi) di entità modesta se paragonato ai costi sociali e alle esternalità negative generate, eppure non vi è altra strada per mantenere in vita una rete di aeroporti disseminata a macchia di leopardo e fonte di notevoli diseconomie di gestione.

Per mesi ha tenuto banco la vicenda Alitalia, di certo la più significativa sotto i profili occupazionale e industriale, ma non dobbiamo dimenticare, per rimanere nel Nord Est la vicenda Alpi Ealges, vettore regionale che ormai da due anni si trova in uno stato di fermo dovuto alla mancanza di disponibilità degli istituti di credito ad aprire una linea di 17 milioni garantita con fideiussione del Ministero delle Attività Produttive e convalidata in sede comunitaria. Anche in quel caso si tratta di oltre cento cassintegrati a cui va aggiunto l’indotto…

Questa situazione, nel caso dell’Italia, non nasce ieri, e sicuramente un aspetto determinante è stato il malgoverno di Alitalia, che per anni è stato il vettore di riferimento per il nostro paese, sia in termini di passeggeri che di fatturato, tuttavia la drammatica fine a cui è andata incontro ha proposto una volta di più gli annosi problemi scaturiti dall’assenza di un’ottica di medio- lungo periodo nella programmazione gestionale delle imprese pubbliche, senza dimenticare gli enormi sprechi negli anni in cui si sarebbero dovute costituire le riserve per affrontare l’attuale crisi.

Abbiamo ancora in mente le immagini drammatiche della fase finale della vertenza seguita al commissariamento di Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.A. , che, dopo mesi di convulse trattative ha portato alla cessione della “good company” a CAI, la società su cui è convogliata la cordata di imprenditori italiani a cui è stata data, non venduta, per cortesia, la polpa della ex compagnia di bandiera. Quelle immagini oggi ci sfilano di nuovo davanti in un interessante documentario: “Tutti giù per aria”, docufilm e meritoria opera di controinformazione realizzato da un’idea di Alessandro Tartaglia Polcini, parte in causa nella vicenda essendo cassintegrato della vecchia società, e Matteo Messina, giornalista free lance. Sono i volti di una vicenda che ha lasciato strascichi pesantissimi non solo dal punto di vista occupazionale, industriale ed economico, ma anzitutto umano. Si insiste in molti punti sul termine “persone”. Sono le persone i protagonisti di questi eccezionali 65 minuti. Non divise, contratti, bilanci. Ma uomini e donne che non hanno proprio nulla di speciale, che avrebbero continuato a farsi la barba e fare il pieno di benzina, come il magistrale Fernando Cormik, l’attore che ci accompagna lungo tutto il documentario, e che all’improvviso si sono trovate in mezzo ad una vicenda più grande e complessa di loro, che li ha sbattuti per mesi sulle prime pagine dei giornali.

Vasco canta “C’è chi dice no”. Un gruppo di dipendenti ci ha provato a dire “no”, quel “variegato, improbabile ma coriaceo “fronte del no””, dal cui punto di vista i fatti sono narrati. I risultati sono stati modesti, forse è stata una sconfitta come si azzarda, per quanto il documentario voglia ergere questi lavoratori a novelli paladini della lotta di classe, certo una visione poetica e indubbiamente affascinante. A mio modo di vedere in tutto quello che è successo non c’è proprio niente di legato alle incrostazioni ideologiche passate, c’è solo tanto ammirevole eroismo del quotidiano. Emblematica sotto questo aspetto la vicenda delle madri che devono rivendicare come concessione il diritto dell’esenzione dal turno di notte. C’è qualcosa di meno ideologico di questo?

Ripensare con razionalità e a mente fredda a quella vicenda è una operazione doverosa, necessaria perché quello che è successo in Alitalia è qualcosa, come ho avuto più volte modo di sostenere, che ha del fantaeconomico perché, come giustamente viene ricordato nel documentario stesso, solo dieci anni fa Alitalia aveva tutte le carte in regola per stare sul mercato da protagonista e oggi invece è solo una voragine che ha pesato sui nostri conti pubblici e sulle vite di 10.500 persone.

L’Alicidio ha molti colpevoli. Due forse vanno ricordati, la Comunità Europea, che sotto l’integerrima garanzia del “mercato” si è presa pesantissime responsabilità verso Alitalia (nel documentario vengono evocati “accordi” con i grandi vettori europei, certo difficili da provare ma che sicuramente gravano sul piano della responsabilità politica) e i sindacati. Da sempre attenti a difendere l’indifendibile e poi, d’un tratto, proni ad ogni compromesso. E sottolineo che si parla sempre di persone, come difatti dimostra una delle più belle scene del confronto fra un sindacalista CGIL e un lavoratore. Il primo, non potendo replicare alla rabbia e alle accuse, se ne va. Triste, solitario y final… Questo appare il destino di un settore strategico per il paese. Viene definita la “desertificazione del mercato del lavoro”, un mondo del lavoro basato sulla privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite.

La politica, tutta, è colpevole per principio. Questa classe politica è colpevole; non si tratta solo della “neutralità sospetta del più grande partito di opposizione”. Lo è per le ragioni che ho detto all’inizio, ma anche perché l’autoreferenzialità del potere ha ormai raggiunto il paradosso, l’intreccio politica affari è una costante in ogni ambito, in ogni ramo. E’ la prassi. Anzi, è quasi fastidioso dover parlare di politica, termine nobile, per la processione di marionette a cui dobbiamo quotidianamente assistere. Dovremmo avere il coraggio di dire che la politica non c’entra proprio niente. Perché questa non è politica, è spartizione del potere.

Certo il documentario racconta una storia, della quale molto è stato detto, e forse sarebbe fare torto alle tante altre vittime della crisi considerarlo esaustivo sul progressivo declino economico del nostro Paese, ma forse la vicenda Alitalia è stata così sbrigativamente nascosta sotto il tappeto perché è stato come gridare “il re è nudo”. Uno dei simboli del nostro tessuto industriale è venuto meno, la classe politica si è presa la responsabilità che noi tutti conosciamo di fronte ai lavoratori e ai cittadini, tutti noi ci siamo riscoperti forse più vulnerabili poiché si è trattato di un precedente inaudito. E’ per questo che la “vicenda Alitalia” è stato un punto di non ritorno per la storia economica del nostro Peaese.

 Non è retorica la mia, ma una riflessione, come dicevo, a mente fredda. Ci sarà qualcuno in grado “di dire no” a tutto questo? La risposta non verrà dalla lotta di classe, ma dall’umanità e dalla solidarietà che ancora voglio sperare possano emergere.  

Tutti i riferimenti per l’acquisto del documentario e le relative proiezioni si trovano su: www.tuttigiuperaria.it

A scanso di equivoci riporto gli articoli sulla vicenda “Alitalia” usciti in tempi non sospetti sulla nostra testata, con la finalità di non voler apparire uno dei tanti pronti a ergersi a “tribuni della plebe” dopo aver ceduto al pressappochismo nei mesi “caldi” della vicenda.

https://www.criticamente.it/Article3372.html

https://www.criticamente.it/Article3607.html

https://www.criticamente.it/Article4052.html

https://www.criticamente.it/article4111.html

Su Alpi Eagles

https://www.criticamente.it/Article4148.html

Alberto Leoncini

albertoleoncini AT libero.it

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