E’ auspicabile meno statalismo per uscire dal caos sociale

La regolamentazione dei mercati finanziari, i tassi di interesse tenuti artificiosamente bassi o alti a seconda dell’interesse di pochi e non di tutti, la promozione politica di mutui ipotecari anche a chi poi non è in grado di far fronte agli impegni, tutto ciò non è altro che statalismo, la cui figlia è la crisi. Mi sembra dunque ovvio che per uscire dalla crisi bisognerebbe fare esattamente il contrario di ciò che stanno facendo Obama, Sarkozy, la Merkel, Berlusconi, e Gordon Brown.

di Nereo Villa


Progettare “schemi” orientati a finanziare specifici settori ed iniziative è infatti il contrario di ciò che bisognerebbe invece auspicarsi: un progressivo alleggerimento della presenza pubblica nella vita sociale. Invece di lanciare grandi progetti infrastrutturali, lo Stato italiano non farebbe meglio a lasciar perdere tutto ciò, eliminando le tasse? Si può vivere benissimo senza di esse, spiega scientificamente l’editore Leonardo Facco nel suo libro “Elogio dell’evasore fiscale. Se le tasse sono un furto non pagarle è legittima difesa”.

Molti sono i filosofi e gli economisti che hanno contestato e contestano il prelievo fiscale come arma anti-logica sfacciatamente mascherata da “ridistribuzione” e da “bene comune”. Ne cito alcuni dal libro di Facco: Charles Adams, che si scagliò contro l’”imposizione ottusa”, cioè predatoria, arbitraria ed annullante la capacità stessa di produrre ricchezza, Hans Hermann Hoppe, che dimostra come alle tasse non corrispondano servizi ma inefficienza perché lo Stato non ha alcun bisogno di offrire un prodotto valido e concorrenziale, quindi impone quello peggiore. Gli avversari delle imposte sono moltissimi. John Locke riteneva che una “potestà tributaria” troppo vorace e legata alle “corporazioni sul cui consenso il governo fonda il suo potere” riduce la democrazia a una “farsa” alla quale è legittimo ribellarsi. Robert Nozick definiva le imposte “una forma di lavoro forzato” paragonabile alla schiavitù. Murray Rothbard si chiedeva: “Cos’è la tassazione se non un furto su scala gigantesca e incontrollata?”. Si potrebbe andare avanti con Joseph Schumpeter, Friedrich von Hayek, Ayn Rand, Pascal Salin, Michael Novak e così via fino ai nostri Bruno Leoni, Sergio Ricossa, Antonio Martino, e mi limito ai maestri nominati nel libro. Insomma, anche prendendo per buona l’obiezione che l’economia dell’organismo sociale abbia bisogno, per es., di autostrade e che questi investimenti sarebbero di grande aiuto al Paese, per quale motivo – si chiede Carlo Lottieri dell’Università degli studi di Siena, in “Libera@mente” (anno II, n. 3, maggio-giugno 2009)dovrebbe essere lo Stato in prima persona a realizzare queste arterie, specie se poi, come è già successo, intende darle in gestione a privati? Fatta dallo Stato, la stessa strada costa quattro volte in più ed ha bisogno del doppio del tempo. Perché non la si fa realizzare direttamente da Benetton, più rapidamente e ad un costo inferiore, evitando così di usare i soldi dei contribuenti? Uno Stato di diritto che convenga a tutti dovrebbe tutt’al più avviare una semplificazione normativa in grado di permettere a chi vuole intraprendere – anche nel settore delle infrastrutture – di lanciarsi in queste iniziative senza, appunto, il terrorismo di Stato dell’essere continuamente bloccati ed ostacolati. Rispondere alla crisi, oggi, significa quindi liberalizzare l’economia. Per questo è indispensabile che in ogni ambito – dalle poste ai trasporti, dall’energia alle telecomunicazioni – si apra il campo a chiunque voglia intraprendere, e si mandi in soffitta l’inefficienza cronica dei carrozzoni di Stato.

Se il dissesto generale che stiamo vivendo non servirà a liberarci una volta per tutte da quelle costosissime fonti di disagio quotidiano che sono, ad esempio, le Poste Italiane e Trenitalia, allora significherà che avremo perso l’ennesima buona occasione. Questa non è solo la tesi libertaria degli autori citati (anche in merito alla sanità Lottieri afferma: “Nei modelli di sanità il sistema delle convenzioni non può che produrre abusi”) ma è anche ciò che emerge dal libro “La morsa” di Loretta Napoleoni, corrispondente fra l’altro dell’“Unità”, la quale afferma che il protezionismo di Stato, tanto di Obama, che si muove ancora sulla falsa riga “anni trenta” di Monroe, quanto di ogni altro politico: “non ha mai aiutato nessuno, anzi ha danneggiato chi lo ha perseguito […] il protezionismo è un virus come lo è la paura di Al Qaeda”. “Invece di azzerare il rischio, di estirparlo come un cancro dall’economia globalizzata” – continua la Napoleoni – “lo Stato lo sta spostando da un settore all’altro: da quello privato a quello pubblico, e così facendo peggiora la situazione. È chiaro che questa politica nasconde la volontà di mantenere lo ‘status quo ante’, e cioè di salvare a tutti i costi un’economia dove la creazione e la commercializzazione del rischio sono diventate parte integrante del sistema […]. Adesso che il credito si è prosciugato, il rischio nei bilanci s’ingigantisce e spesso diventa incontrollabile. I cosiddetti ‘beni tossici’ che lo Stato si accolla sono pacchetti ad alto rischio che quindi rappresentano una perdita in costante

ascesa. I salvataggi delle banche non arginano l’emorragia finanziaria perché non curano la ferita, piuttosto prosciugano l’erario pubblico e pignorano la ricchezza futura […] Siamo dunque ancora lontani dal riconoscere l’assurdità di un sistema che poggia su principi economici anacronistici”. Perché è di questo che si tratta: siamo ancorati ad un sistema che è ancora quello di Verre, il cui “diritto” era detto già duemila anni fa “diritto del verro”, cioè del porco. E i politici, che sono al servizio dei potenti, non vogliono ammettere che questo sistema non funziona più, e che va radicalmente cambiato. E questo lo dice perfino il keinesiano Paul Robin Krugman, autore di “Economia internazionale: Teoria e Politica”, e premio Nobel per l’economia. È dunque indispensabile che, come è avvenuto, ad es., per la telefonia, le logiche del merito e della concorrenza crescano pure nella scuola, nella sanità, nell’università. Qui le resistenze sono maggiori ma anche in questi settori è necessario avere il coraggio di individuare percorsi innovativi che diano ai singoli e alle famiglie la possibilità di scegliere. Di fronte allo sfacelo causato dal dirigismo, chi ha a cuore la libertà dovrebbe insomma evitare di mettersi sulla difensiva. Il nostro Paese, colpito dalla recessione ma lontano ancora dal tracollo delle banche, dovrebbe allora tenere presente la possibilità di cambiare davvero le cose.

Be the first to comment on "E’ auspicabile meno statalismo per uscire dal caos sociale"

Leave a comment