L’Italia e il rischio Argentina

Sono stato fin dallà¢â‚¬â„¢inizio un forte sostenitore dellà¢â‚¬â„¢Unione monetaria europea. A preoccuparmi è peràƒÂ² il fatto che sebbene sia riuscita a innescare un processo di convergenza per alcune variabili nominali (inflazione, tassi di interesse e cosàƒÂ¬ via), là¢â‚¬â„¢Unione monetaria si associa ora a un processo di crescente divergenza nelle performance economiche, in particolare per quello che riguarda i tassi di crescita. La diversitàƒ di risultati economici è un problema serio per alcuni paesi membri (Italia, Portogallo, Grecia) e potrebbe portare a un collasso della stessa Unione monetaria. Non sono un fautore di tale eventualitàƒ , ma senza appropriate politiche macroeconomiche e riforme strutturali, il rischio a medio termine di un crollo dellà¢â‚¬â„¢Unione monetaria è serio [Nouriel Rubini, www.lavoce.info].

I problemi di una crescita modesta

La crescita economica nellà¢â‚¬â„¢area euro è stata molto modesta negli ultimi anni. E questo è certamente un problema per là¢â‚¬â„¢Unione monetaria. Il tasso di crescita medio nel periodo 2001-2005 è stato di circa là¢â‚¬â„¢1 per cento. Si tratta di un problema tutto strutturale? La risposta è no, in quanto le rigiditàƒ strutturali e la crescita più lenta della popolazione implicano che la crescita potenziale dellà¢â‚¬â„¢Eurozona è più vicina al 2 per cento che al 3,5 per cento degli Stati Uniti. Dunque, lo scarto tra il potenziale 2 per cento e il reale 1 per cento deve essere attribuito alle politiche macroeconomiche.

Gli Stati Uniti hanno reagito alla recessione del 2001 tagliando i tassi a breve dal 6,5 allà¢â‚¬â„¢1 per cento, trasformando un surplus di bilancio del 2,5 per cento del Pil in un deficit del 3,5 per cento e lasciando deprezzare il dollaro tra il 2002 e il 2004. Mentre la soluzione americana puàƒÂ² essere stata eccessiva e senza scrupoli nel caso della politica di bilancio, la reazione dellà¢â‚¬â„¢Europa è stata troppo timida.

La Parola del GLOSSARIO:
Eà¢â‚¬â„¢ là¢â‚¬â„¢istituzione comunitaria deputata alla gestione della politica monetaria nellà¢â‚¬â„¢area dellà¢â‚¬â„¢euro. Il suo obiettivo è la stabilitàƒ dei prezzi. I principali organi direttivi della BCE sono il Consiglio direttivo, il Comitato …… [continua]‘, FGCOLOR, ‘#EEEEEE’, BGCOLOR, ‘#000000’, TEXTCOLOR, ‘#000000’, WIDTH, 200, HEIGHT, 120);” onmouseout=”nd();”>Banca centrale europea
, troppo preoccupata dellà¢â‚¬â„¢inflazione, ha ridotto i tassi molto più lentamente e molto meno (fino al 2 per cento) rispetto alla Fed. La politica fiscale è stata modificata solo marginalmente e là¢â‚¬â„¢euro si è apprezzato fino allà¢â‚¬â„¢inizio del 2005. CosàƒÂ¬, rigide politiche macro hanno contribuito a rendere molto debole la ripresa dellà¢â‚¬â„¢Eurozona dopo la recessione del 2001.

Più pericolosa per là¢â‚¬â„¢Unione monetaria è peràƒÂ² la crescente diversitàƒ nei risultati economici e nei tassi di crescita allà¢â‚¬â„¢interno dellà¢â‚¬â„¢area euro. La Bce sostiene, basandosi su proprie ricerche, che non cà¢â‚¬â„¢è una diversitàƒ nella crescita in quanto 1) la deviazione standard dei tassi di crescita allà¢â‚¬â„¢interno dellà¢â‚¬â„¢area euro non è aumentata dopo la nascita dellà¢â‚¬â„¢Unione monetaria e 2) la dispersione dei tassi di crescita allà¢â‚¬â„¢interno dellà¢â‚¬â„¢Unione monetaria è simile a quella che si ritrova allà¢â‚¬â„¢interno dei cinquanta Stati Usa. Queste statistiche sono peràƒÂ² fuorvianti per una serie di ragioni.

1. Il tasso di crescita medio nellà¢â‚¬â„¢Eurozona è sceso dal 2001 in poi. PerciàƒÂ² la dispersione (deviazione standard) dei tassi di crescita intorno a questa media più bassa, saràƒ inferiore. Si dovrebbe piuttosto guardare al coefficiente di variazione (la deviazione standard divisa per il tasso di crescita medio) per avere una corretta misura della dispersione. E questà¢â‚¬â„¢ultima misura mostra una crescita della divergenza.

2. La deviazione standard tra il 1999 e il 2005 è stabile perchàƒÂ© le tre grandi economie europee (Germania, Italia e Francia) sono crescite poco tutte e tre insieme. CosàƒÂ¬, la bassa dispersione è dovuta a una scarsa crescita delle tre maggiori economie, ma la distanza tra questi paesi che restano indietro e gli altri dellà¢â‚¬â„¢area euro è cresciuta.

3. Gli Stati Uniti sono molti diversi dai paesi dellà¢â‚¬â„¢Unione Europea su due aspetti fondamentali. Primo, se si verifica una recessione in Texas, la gente fa i bagagli e si sposta verso gli Stati con più alto tasso di crescita e occupazione, cioè cà¢â‚¬â„¢è una maggiore mobilitàƒ del lavoro negli Stati Uniti rispetto allà¢â‚¬â„¢Eurozona. In secondo luogo, il federalismo fiscale (il cambiamento automatico e discrezionale in tasse, spesa e trasferimenti) implica che una caduta di un dollaro nel prodotto di stato Usa nel corso di una recessione regionale porti a una riduzione di soli 60 centesimi nel suo reddito effettivo.

In altre parole, il prodotto nazionale lordo degli Stati americani diverge molto meno di quanto non faccia prodotto interno lordo. Questo non accade in Europa, dove spese e trasferimenti a livello europeo sono molto limitati.

Minacce per là¢â‚¬â„¢Unione monetaria

Insomma, esistono seri divari di crescita allà¢â‚¬â„¢interno dellà¢â‚¬â„¢area euro. E la diversitàƒ nei risultati economici porta a gravi tensioni nella politica fiscale e monetaria. Rallentamento della crescita e difficoltàƒ ad attuare aggiustamenti nelle politiche di bilancio in periodi di crescita mediocre, comportano là¢â‚¬â„¢emergere in alcuni paesi di deficit di bilancio.

Queste persistenti violazioni del Parola del GLOSSARIO:
Il Patto di Stabilitàƒ e Crescita è il Protocollo del Trattato di Maastricht che impone ai paesi membri che partecipano alla Unione monetaria di mantenere, fra gli altri requisiti, un …… [continua]‘, FGCOLOR, ‘#EEEEEE’, BGCOLOR, ‘#000000’, TEXTCOLOR, ‘#000000’, WIDTH, 200, HEIGHT, 120);” onmouseout=”nd();”>Patto di stabilitàƒ
rappresentano una minaccia di medio termine per là¢â‚¬â„¢Unione monetaria e per la credibilitàƒ della Bce. Inoltre, i divari economici e le tensioni che ne conseguono aumentano le pressioni politiche sulla Bce perchàƒÂ© stimoli maggiormente la crescita, come dimostra la reazione dei ministri delle Finanze alla decisione della Bce nel dicembre 2005 di alzare i tassi di 25 punti base.

Il divario nella crescita è anche una grave minaccia per là¢â‚¬â„¢Unione monetaria. Sempre più commentatori notano come i diversi paesi reagiscano in modo diverso a queste sfide. Daniel Gros ha mostrato che la Germania ha reagito con ristrutturazione industriale, taglio del costo del lavoro e “deflazione competitiva”. Per parte mia, sostengo che là¢â‚¬â„¢Italia ha fatto poco e sperimenta una “stagdeflazione”, ovvero una combinazione di stagnazione e deflazione. In Italia il costo del lavoro, come ha dimostrato Gros, è cresciuto del 20 per cento se paragonato a quello tedesco, mentre la quota italiana nel commercio è caduta del 20 per cento, sempre in confronto alla Germania. Problemi di competitivitàƒ simili riguardano Grecia, Portogallo e Spagna.

Inoltre, Gros nota correttamente che i divari di crescita del Pil sono stati attenuati dalle bolle dei mercati immobiliari in paesi come Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia: bassi tassi di interesse a breve e a lungo termine ( un puzzle o “conundrum” sul mercato mondiale dei bond) hanno determinato una bolla insostenibile. La perdita di competitivitàƒ della Spagna è oggi nascosta dalla bolla del mercato immobiliare, ma una volta scoppiata la bolla, i gravi problemi diverranno evidenti.

Sfortunatamente, la mancanza di serie riforme fa crescere il rischio che là¢â‚¬â„¢Italia possa finire come là¢â‚¬â„¢Argentina. Non è inevitabile, ma se là¢â‚¬â„¢Italia non intraprende le riforme necessarie, non si puàƒÂ² escludere una sua uscita dallà¢â‚¬â„¢Unione monetaria nei prossimi cinque anni.

Come là¢â‚¬â„¢Argentina, là¢â‚¬â„¢Italia affronta infatti una crescente perdita di competitivitàƒ dovuta a una moneta sopravvalutata, con rischio di caduta delle esportazioni e crescita del deficit di parte corrente. Il rallentamento della crescita peggioreràƒ deficit e debito pubblico e lo renderàƒ potenzialmente insostenibile nel tempo. E se la svalutazione non puàƒÂ² essere usata per ridurre i salari reali, la sopravvalutazione del tasso reale di cambio saràƒ annullata attraverso un lungo e penoso processo di deflazione di salari e prezzi. La deflazione, peràƒÂ², manterràƒ alti i tassi reali e renderàƒ più acuta la crisi di crescita e di bilancio. Senza le necessarie riforme, il circolo vizioso della stagdeflazione imporràƒ allà¢â‚¬â„¢Italia là¢â‚¬â„¢uscita dallà¢â‚¬â„¢Unione monetaria, il ritorno alla lira e il ripudio del debito denominato in euro.

Alcuni sostengono che là¢â‚¬â„¢Italia o altri paesi dellà¢â‚¬â„¢Unione monetaria nella sua stessa situazione non usciranno dal sistema perchàƒÂ© una forte svalutazione della nuova lira, necessaria per riguadagnare competitivitàƒ , renderebbe il valore reale del debito in euro troppo alto e perciàƒÂ² insostenibile per lo Stato, il settore privato e le famiglie. Ma basta guardare a quello che è successo in Argentina: ha svalutato e dati gli effetti di bilancio del deprezzamento sul debito in dollari, è stata costretta a “pesizzare” il suo debito in dollari. Allo stesso modo, là¢â‚¬â„¢Italia sarebbe costretta a “lirizzare” il suo debito in euro. Se là¢â‚¬â„¢Italia dovesse uscire dallà¢â‚¬â„¢Unione monetaria il ripudio interno e verso là¢â‚¬â„¢estero, privato e pubblico, del debito denominato in euro sarebbe inevitabile. E uno Stato sovrano puàƒÂ² fare tutto ciàƒÂ² à¢â‚¬ uscita dallà¢â‚¬â„¢Unione monetaria, ritorno alla valuta nazionale e ripudio del debito in euro à¢â‚¬ senza tener conto dei vincoli legali e formali imposti dal Trattato dellà¢â‚¬â„¢Unione monetaria con le clausole sulla non ammissibilitàƒ di una uscita dallà¢â‚¬â„¢Unione.
Non è fantascienza, là¢â‚¬â„¢Argentina lo dimostra.

Gli effetti di sistema

Quali sarebbero gli effetti di sistema di una eventuale uscita dellà¢â‚¬â„¢Italia dallà¢â‚¬â„¢Unione monetaria? Sarebbero estremamente pesanti sul mercato europeo dei capitali perchàƒÂ© là¢â‚¬â„¢Italia dovrebbe ripudiare parte del debito verso là¢â‚¬â„¢estero – la parte del suo debito in euro in mano ai non residenti. Gli effetti di contagio su altri mercati europei dei capitali e sulle banche sarebbero gravi. NàƒÂ© si potrebbe agitare lo spauracchio delle regole della Banca centrale, perchàƒÂ© la Bce sarebbe costretta a monetizzare la crisi indotta di liquiditàƒ e di solvivibilitàƒ per evitare un effetto sistemico sui mercati finanziari europei.

In conclusione, là¢â‚¬â„¢Unione monetaria puàƒÂ² funzionare, e ha funzionato, per i paesi della zona euro che hanno intrapreso la strada delle riforme. Ma se là¢â‚¬â„¢Italia e altri paesi europei non cambiano le loro politiche per perseguire serie riforme economiche che garantiscano loro una rinnovata competitivitàƒ e crescita, saranno alla fine costretti a uscire dallà¢â‚¬â„¢Unione monetaria. Sarebbe un disastro, ma è un disastro inevitabile se le politiche non cambiano. Personalmente, sono pessimista sul fatto che tali cambiamenti possano esserci, considerati i politici e le politiche finora adottate in paesi come là¢â‚¬â„¢Italia.

* La versione originale e integrale dell’intervento è disponibile sul blog dell’autore.

Be the first to comment on "L’Italia e il rischio Argentina"

Leave a comment