The take

E” possibile sperare di cambiare la propria vita, sperare di riprendersi il proprio lavoro rubato da un capitalismo avido che chiude anche le fabbriche produttive? Si può combattere contro un sistema con la forza della disperazione, accettandone da una parte i meccanismi e dall”altra ribaltandoli completamente? L”autrice di No logo, Naomi Klein, e il giornalista canadese Avi Lewis ci hanno dimostrato con The Take che la rivoluzione dal basso non è un”utopia (Michela Greco).


The Take è la storia di un cambiamento politico vissuto accanto ai suoi protagonisti e alle loro storie personali. In un”Argentina sconvolta economicamente e politicamente dalla crisi del dicembre 2001, c”è una massa di persone che precipita all”improvviso nell”indigenza, che perde il lavoro e che pensa a bancomat e conti in banca come a miraggi del passato. Intere famiglie che da un giorno all”altro non sanno più come andare avanti, genitori che non sanno cosa dire ai figli perché si vergognano di non lavorare più; tutto questo sapendo che ci sono fabbriche abbandonate ancora in buono stato e potenzialmente produttive. Le stesse fabbriche in cui hanno speso anni della loro vita e costruito il loro futuro. Ma ci sono anche operai e cittadini decisi a non soccombere alla legge del più forte e agli oscuri meccanismi che intrecciano politica e multinazionali a esclusivo vantaggio dei più ricchi.

In Argentina l”occupazione degli impianti dismessi da parte dei loro ex-operai è diventata ormai una pratica abbastanza diffusa anche se non semplice, a causa della resistenza del potere. E il racconto del trionfo della determinazione degli operai della Forja San Martin si pregia di un grande equilibrio narrativo, di una sobrietà , di una coerenza e di una capacità comunicativa che sappiamo essere proprie di Naomi Klein. The Take gode infatti di una struttura solida, concentrata intorno a una singola vicenda senza inutili e confusionarie dispersioni in altri temi attigui, e di un”intensità offerta non solo dalla storia in sé, ma anche dalla capacità dell”osservatore documentario, che deve essere come una mosca sul muro, che osserva non vista, come dice la stessa Klein. I protagonisti della vicenda non hanno remore nel mostrare la loro lotta e si mostrano per quello che sono: determinati ma anche impauriti, incazzati contro un sistema che ha distrutto la loro vita ma anche rispettosi delle sue regole, come ad esempio quella che prevede di aspettare l”autorizzazione del magistrato prima di tornare a rendere produttiva la fabbrica che hanno occupato.

E, contrariamente a quello che i nostri governanti vogliono farci credere, questi operai dimostrano che è possibile gestire una realtà produttiva, vincolata alla logica del profitto, attraverso la democrazia diretta e le gestione comune, senza capi e gerarchie. Per il cinema è l”ennesima dimostrazione del valore e dell”importanza della forma documentaria che può contemporaneamente essere Cinema e assolvere a una funzione informativa approfondita e – soprattutto – libera.

[marzo 2005]

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