Un’inchiesta sull’Idrogeno: vera alternativa al petrolio?


àˆ come le sigarette: fanno male ma non riusciamo a farne a meno. L’alternativa al petrolio e agli altri combustibili fossili, però, esiste e si chiama idrogeno. Un’inchiesta sull’elemento che ci cambierà la vita.

Cominciano a chiamarla il ‘Bahrein Del Nord’. E’ un momento entusiasmante per l’Islanda, la patria dell’economia dell’idrogeno. Thorsteinn Sigfusson, professore di fisica presso l’Università Islandese di Reykjavik e presidente dell’Iceland New Energy, sostiene che entro vent’anni il suo paese potrebbe diventare il primo al mondo a utilizzare esclusivamente l’idrogeno senza ricorrere ai combustibili fossili. Per cominciare, l’idrogeno alimenterà la sua flotta di autobus, camion, automobili e motopescherecci, e più avanti fornirà elettricità e calore agli edifici durante tutti i lunghi inverni.
Nel ventunesimo secolo l’Islanda potrebbe essere la prima a ereditare dagli sceicchi dell’Opec, l’Organizzazione di paesi esportatori di petrolio. E’ ancora presto, ammette Sigfusson. I primi tre autobus alimentati a idrogeno non saranno in circolazione per le strade di Reykjavik prima del 2002. Cioè diversi anni dopo essere stati introdotti a Vancouver e Chicago. Ma gli autobus islandesi segneranno l’inizio di qualcosa di più importante. A differenza della maggior parte degli autobus alimentati a idrogeno, che usano idrogeno derivato da carburanti tradizionali come il petrolio, gli autobus di Reykjavik useranno idrogeno ottenuto dall’acqua, sfruttando l’energia idrica generata dagli impetuosi fiumi islandesi. Finalmente il cordone ombelicale con i carburanti fossili potrà essere tagliato.
Dato che l’Islanda ha solo 276mila abitanti, e da lì in macchina non si può andare da nessuna parte, è il paese ideale per sperimentare un mondo futuro in cui le automobili non saranno più nemiche dell’ambiente, e in cui lo smog delle città e l’effetto serra non esisteranno più. Un mondo, insomma, che avrà perso il vizio del carbonio.
Chiedete a chiunque abbia a che fare con il settore energetico se questa rivoluzione è veramente necessaria e vi dirà di sì. Ci sono motivi impellenti per realizzare il cambiamento. Le emissioni di anidride carbonica dei motori a combustione interna stanno alimentando l’effetto serra. Il petrolio bruciato riempie le nostre città di smog, che uccide centinaia di migliaia di persone ogni anno. Le innovazioni tecnologiche che mirano a ridurre le emissioni delle auto convenzionali non riescono a stare al passo con il numero crescente di veicoli. Entro il 2020, probabilmente ci saranno un miliardo di strade nel mondo, una ogni sette persone.

Un giorno finirà

Nel frattempo l’economia del petrolio sta cominciando a subire una serie di scossoni. Molti paesi del mondo sono alla mercé dell’Opec -una posizione scomoda, come hanno dimostrato gli sbalzi dei prezzi degli ultimi sei mesi.
Non ci vuole molto a mandare in crisi un governo e a provocare una recessione globale. E un giorno il petrolio finirà . Già nel 1999 il geologo del petrolio Colin Campbell sosteneva che ‘le compagnie petrolifere di tutto il mondo ormai trovano un barile di petrolio per ogni quattro che ne consumiamo’.
Anche le maggiori compagnie petrolifere ammettono che non possiamo continuare a bruciare petrolio come facevamo in passato. ‘Se dobbiamo continuare a usare le automobili, dobbiamo trovare un modo radicalmente nuovo per alimentarle’, afferma Paul Histon, responsabile del settore tecnologia dei combustibili presso il centro per la tecnologia del petrolio della BP Amoco che ha sede a Sunbury-on-Thanies, vicino Londra. ‘Se dobbiamo ridurre drasticamente l’anidride carbonica, a lungo termine l’idrogeno sarà la scelta migliore’.
Perché proprio l’idrogeno? Beh, si trova dovunque, è inesauribile e pulito. Si possono attraversare gli Stati Uniti con un’auto alimentata a idrogeno senza immettere nell’atmosfera niente di più nocivo dell’equivalente di una vasca piena d’acqua.
Ma è sicuro? Alcuni industriali sostengono che tenere idrogeno nelle stazioni di servizio o nei serbatoi dei veicoli è troppo pericoloso. Il ricordo della catastrofe dell’Hindenburg del 1937 è ancora vivo. Eppure è strano. L’idrogeno che riempiva il serbatoio del dirigibile non esplose, e le 35 vittime rimasero uccise dalla combustione del diesel o perché si gettarono nel vuoto. Nel 1997 uno scienziato della Nasa a riposo scoprì che il vero colpevole era stato il tessuto infiammabile del rivestimento esterno del dirigibile, e non l’idrogeno.
E non dimentichiamo che le automobili portano già a spasso serbatoi pieni di liquido altamente esplosivo, quindi in realtà è solo questione di confrontare i rischi. L’idrogeno prende fuoco facilmente. ma galleggia e si dissolve rapidamente. ‘L’idrogeno è meno pericoloso della benzina’, sostiene Amorv Lovins, dei Rocky Mountain Institute, un’organizzazione senza fini di lucro del Colorado specializzata nel progettare auto del futuro.
La domanda chiave oggi non è tanto ‘vogliamo un’economia dell’idrogeno?’, quanto ‘che tipo di economia dell’idrogeno vogliamo, e come ci arriviamo?’. Dobbiamo ricavare il nuovo combustibile dal petrolio, dal gas naturale, dal metanolo, dalla biomassa o dall’acqua? Dobbiamo fabbricano in impianti centralizzati, nelle stazioni di servizio o nel cofano dell’auto? Come lo immagazziniamo? E lo mettiamo in motori convenzionali a combustione interna o in celle a combustibile?
I maggiori produttori di automobili del mondo sono impegnati a disegnare la carta stradale che ci condurrà a un futuro alimentato dall’idrogeno. Ma nessuno sembra ancora sicuro di come sarà . La Bmw sta scommettendo su un motore a combustione interna che brucia idrogeno, e sostiene che è l’unico modo per ottenere l’accelerazione e la ripresa a cui i guidatori sono abituati. Ma molti sono convinti che il motore a combustione interna è poco efficiente. Converte in trazione solo il 20 per cento dell’energia del carburante. I motori elettrici raggiungono un’efficienza dell’80 per cento. Ma le batterie non producono abbastanza potenza rispetto al peso dell’auto e hanno bisogno di essere ricaricate spesso. Quindi l’attenzione si sta concentrando sui motori elettrici senza batterie.

Le celle a combustibile

Il piano A, il cosiddetto motore ibrido, è in circolazione sulle strade giapponesi già da tre anni, nel cofano della Toyota Prius. E un motore a petrolio collegato a un motore elettrico. Quest’ultimo non muove la macchina direttamente, ma genera elettricità , che viene immagazzinata in una batteria e rilasciata nella quantità necessaria per la trazione dell’auto. Quindi il motore a petrolio può sempre funzionare alla velocità di maggiore efficienza, senza le accelerazioni e i rallentamenti imposti dalla strada e dal guidatore. Risultato: un risparmio di carburante dal 10 al 20 per cento, con una riduzione dell’inquinamento della stessa percentuale. E’ un buon inizio.
Ulteriori miglioramenti potrebbero essere introdotti se il motore bruciasse un carburante più pulito. Ma le persone intelligenti scommettono i loro soldi su qualcosa di più radicale. Questo qualcosa fu inventato nel 1839 dal fisico gallese Sir William Grove: una cella a combustibile che funziona a idrogeno.
Nel corso degli anni sono stati realizzati molti tipi di celle a combustibile, ma fino a poco tempo fa erano troppo ingombranti e troppo poco potenti per far funzionare un’automobile.
La svolta è avvenuta verso la metà degli anni Novanta, quando una piccola società , la Ballard Power Systems di Vancouver, in Canada, ha decisamente migliorato il rapporto volume-potenza. Fino a quel momento, le celle riuscivano a generare circa 167 watt al litro. Il motore di un’auto che le contenesse avrebbe occupato l’intero porta-bagagli più il sedile posteriore. Circa cinque anni fa la Ballard ha raggiunto 1000 watt a litro. Per la prima volta le celle riuscivano a entrare nel cofano. L’ultima cella da loro prodotta, la Mark 900, genera 1310 watt al litro: è quindi abbastanza potente per un motore da 75 kilowatt [100 cavalli di potenza] che entra comodamente in un’auto.
Le celle saranno presto in circolazione sulle strade. Il vice presidente della Ballard, Paul Lancaster, assicura che, entro il 2004, 250mila celle l’anno usciranno dal suo impianto di produzione da 400 milioni di dollari. E ha già preso accordi per inserirle in alcune macchine prodotte da Ford, General Motors, Toyota, Daimler-Chrysler, Nissan e Honda.
Ferdinand Panik, che dirige il progetto celle a combustibile della Daimler-Chrysler in Germania, calcola che entro il 2020 le celle a idrogeno alimenteranno un quarto delle nuove auto di tutto il mondo. Ma potrebbe anche accadere prima, soprattutto adesso che le compagnie petrolifere si stanno allineando. La Shell ha dato la sua benedizione in marzo, quando Don Huberts, l’amministratore della Shell Hydrogen di Amsterdam, ha predetto che nel Ventunesimo secolo l’idrogeno sarà il principale combustibile del mondo.
La cella a membrana a scambio di protoni della Ballard converte il combustibile in potenza con un’efficienza che è il doppio di quella del motore a combustione interna, senza produrre alcun rumore né alcuna emissione nociva. Non c’è da meravigliarsi che le celle a idrogeno sono avvolte da un’aura verde. Nel dicembre del 1999 il ministro dei Trasporti britannico Gus MacDonald ha dichiarato che entro dieci anni le celle a combustibile permetteranno a più di metà delle nuove auto britanniche di essere ‘pulite’.
Un momento però. Queste celle sono un grande passo avanti perché costituiscono un sistema più efficiente per alimentare un veicolo, ma proprio ‘pulite’ non sono. C’è quello che potremmo chiamare il ‘problema del bollitore elettrico’. Le celle a combustibile, come i bollitori elettrici, emettono solo vapore. Ma i bollitori sono alimentati dall’elettricità generata nelle centrali elettriche che bruciano carbone e petrolio. E le celle a combustibile sono alimentate da idrogeno che è prodotto… da che cosa? Non è possibile estrarre idrogeno da una miniera o prenderlo dall’aria. Dev’essere fabbricato. E il sistema di fabbricazione inquina. ‘Se produciamo idrogeno a partire dalla fonte di combustibile sbagliata, per esempio la benzina, la sua aura verde potrebbe svanire’, spiega Rob Macintosh, del Pembina Institute for Appropriate Development di Alberta.

Tecniche di produzione

Esistono due metodi principali per produrre l’idrogeno. Il primo è l’elettrolisi, che consiste nel far passare una corrente elettrica attraverso l’acqua per separare l’idrogeno dall’ossigeno. Questo metodo richiede grandi quantità di energia, la maggior parte della quale viene ottenuta bruciando combustibili fossili come il carbone o il petrolio. Se usassimo questo sistema per alimentare una macchina, il guadagno sarebbe minimo. Perché la cosa abbia senso per l’ambiente, l’elettricità dev’essere prodotta da fonti rinnovabili.
La seconda strada per arrivare all’idrogeno è quella di raffinarlo – o da un idrocarburo convenzionale o da una fonte nuova come una sostanza vegetale. Questa raffinazione, o ‘riformazione del vaporeâ€Â�, può essere fatta in vari modi. Può essere fatta a livello centralizzato, in una raffineria che poi distribuisce il prodotto alle stazioni di servizio, nelle stazioni di servizio stesse, usando idrocarburi trasportati o fatti arrivare lì con degli oleodotti. Oppure può essere fatta a bordo della macchina in un piccolo reformer, un ‘riformatore’, che rifornisce direttamente la cella. In tutti i casi l’acqua viene combinata ad alta temperatura con un idrocarburo, per produrre anidride carbonica e idrogeno. Il trucco, in termini ambientali, consiste nello scegliere un idrocarburo che produce il massimo di idrogeno e il minimo di anidride carbonica. Il gas naturale, che è essenzialmente metano [CH4], è il migliore, perché ha il rapporto più alto tra idrogeno e carbonio.
Potenzialmente esistono altri sistemi per fabbricare l’idrogeno, come quello che imita la fotosintesi e utilizza il calore o particelle ad alta energia per scindere l’acqua, o anche quello che sfrutta gli enzimi dei batteri. Ma finora quasi tutti sono stati sperimentati solo in laboratorio. La riformazione del gas naturale è invece già usata per la produzione di sostanze chimiche.

Il sogno verde

Ma quale di queste opzioni sarebbe migliore per l’ambiente? Macintosh ammette che ‘per essere veramente pulito, l’idrogeno deve venire da una fonte rinnovabile, come l’energia solare o quella eolicaâ€Â�. Il sogno verde dell’elettrolisi fatta usando una fonte di energia rinnovabile è tecnicamente realizzabile ma non è ancora economicamente conveniente. Perciò Macintosh ha analizzato tutte le tecnologie disponibili usando il test della quantità di gas a effetto serra che verrebbero emessi per fabbricare e usare il combustibile necessario per alimentare un veicolo standard una Mercedes A su un percorso di mille chilometri in Canada.
Come si poteva prevedere, quella che ha dato i risultati peggiori è stata la normale auto a benzina. Ha emesso 248 chilogrammi di anidride carbonica [C02], soprattutto nei gas di scarico. Al secondo posto si è piazzata l’auto con cella a combustibile e con un reformer a bordo che trasformava la benzina in idrogeno. Questo cosiddetto veicolo ‘pulito’ ha prodotto fino a 193 chilogrammi di C02, provenienti per lo più dal reformer. Al terzo posto è arrivata la macchina che produceva l’idrogeno a bordo a partire dal metanolo. La sostanza chimica che molti pionieri delle celle vedono come la soluzione migliore per la produzione su larga scala di auto con celle a combustibile. Secondo lo studio di Macintosh, il metanolo è andato molto meglio della benzina, e ha prodotto 170 chilogrammi di C02. Ma la sua performance è stata molto inferiore a quella dei veicoli a idrogeno estratto dal gas naturale, o prodotto nelle stazioni di servizio o in una raffineria centralizzata Questi hanno emesso tra i 70 e gli 80 chilogrammi di C02 – il 70 per cento in meno rispetto alla benzina. E Macintosh ha controllato solo le emissioni di gas a effetto serra, ma ritiene che quelle di gas che producono smog siano molto simili.
Anche se il problema della produzione dell’idrogeno viene risolto, ci sono ancora molti ostacoli da superare prima di arrivare all’economia dell’idrogeno. Uno è quello dell’immagazzinamento. Un altro è costituito dalla necessità di creare nuove infrastrutture per produrre e distribuire l’idrogeno, che costeranno miliardi di dollari. Questo aspetto sembra particolarmente problematico, ma esistono soluzioni possibili. Una è quella di far partire l’economia dell’idrogeno da luoghi particolarmente inquinati dallo smog. come la California meridionale, o da regioni dove l’energia ‘verde’ per la produzione di idrogeno abbonda, come l’Islanda. Un altra e quella di rendere la transizione graduale, magari concentrandosi prima sui veicoli con celle a combustibile con trasformatori di idrocarburo a bordo. Ma quale idrocarburo sarà il migliore per cominciare? Buona parte dell’industria automobilistica preferisce il metanolo. Sostiene infatti che, trattandosi di un liquido, è più facile da fabbricare e maneggiare in grandi quantità dell’idrogeno, e al tempo stesso presenta dei significativi vantaggi ambientali rispetto al petrolio.
L’anno scorso, la Ballard ha firmato un accordo con la Methanez di Vancouver, la più grande produttrice di metanolo del mondo, per avviare un prototipo di sistema di distribuzione in Canada. La Ballard sta finanziando un progetto simile anche negli Stati Uniti, in collaborazione con la California Air Resources Board, la Ford e la Daimler-Chrysler.
Macintosh sostiene tuttavia che è un errore. ‘Purtroppo per quanto riguarda i gas serra, la trasformazione a bordo del metanolo non offre neanche la minima parte dei vantaggi della trasformazione del gas naturale’, dice. Richiede anche un ulteriore stadio di fabbricazione, quello di un reformer per ogni auto, oltre a un sistema di distribuzione e immagazzinamento. Il metanolo è corrosivo, quindi dovrebbe essere conservato in serbatoi rinforzati. E anche solubile nell’acqua, il che significa che le perdite nel terreno sarebbero difficili da contenere. Paul Histon, della BP Amoco, è preoccupato all’idea di mettere in piedi un sistema di distribuzione del metanolo in tutto il paese, per poi doverlo convertire all’idrogeno dopo qualche anno. ‘Vogliamo un solo grande cambiamento. Se dobbiamo passare all’idrogeno, facciamolo e non pensiamoci piùâ€Â�.
La soluzione più logica, secondo Macintosh, è che le macchine facciano il pieno di idrogeno nelle stazioni di servizio dove sarebbe prodotto a partire dal gas naturale. Sarebbe economico, perché la rete di distribuzione del gas naturale esiste già . Sarebbe la tecnologia più innocua per l’ambiente disponibile al momento. Non presenta nessuna difficoltà . Anzi, forse non ci sarebbe neanche bisogno di stazioni di servizio. Si potrebbe fabbricare l’idrogeno negli uffici o nei quartieri. Un reformer delle dimensioni di uno scaldabagno ‘è in grado di produrre abbastanza idrogeno per alimentare le celle di decine di macchine’, sostiene Amory Lovins. Sarebbe anche una soluzione flessibile. Con l’aumento della domanda, e se pensassero di poter fare concorrenza alla produzione locale, i fornitori all’ingrosso di idrogeno potrebbero trovare conveniente costruire reti di condutture.
Il gas naturale, dice Lovins, è ‘un comodo ponte verso un sistema energetico completamente rinnovabile’. E potrebbero esserci anche dei vantaggi inaspettati lungo il percorso. Robert H. William del Center for Energv and Environmental Studies [Centro per l’energia e gli studi ambientali] di Princeton, vede anche la possibilità che i proprietari di giacimenti di gas trasformino il loro prodotto in idrogeno alla fonte. In questo modo le emissioni di C02 potrebbero essere rispedite direttamente nel pozzo di estrazione.
Ma alla fine della transizione avremo una vera economia dell’idrogeno, in cui il cordone ombelicale con i combustibili fossili sarà stato tagliato per sempre. Sia gli ambientalisti sia gli industriali stanno cominciando a intravedere il giorno in cui un’energia rinnovabile – il sole, il vento, l’energia geotermica o quella idroelettrica – sarà pronta a farsi carico della produzione elettrolitica dell’idrogeno dall’acqua. Anzi, la fabbricazione dell’idrogeno potrebbe dimostrarsi il modo più efficiente per usare l’energia rinnovabile. Perché aggirerebbe il problema della natura intermittente di molte fonti: l’idrogeno stesso permetterebbe di immagazzinare energia.

Dighe ecologiche

Lovins immagina, in particolare, dighe idroelettriche che diventeranno impianti ‘idrogenici’. Avrebbero il vantaggio di raccogliere grandi quantità di acqua e di elettricità , e potrebbero ‘creare maggiori profitti vendendo non elettricità bensì idrogeno’.
Questo sistema aggirerebbe anche uno dei maggiori problemi dell’energia idroelettrica: la necessità di inondare grandi aree di terreno per immagazzinare acqua. I serbatoi sono necessari solo perché l’elettricità possa essere generata a richiesta. Ma questa necessità viene meno se la stessa elettricità può essere generata ‘quando fa comodo alla natura’ – variando con le piogge – e la sua energia viene immagazzinata sotto forma di idrogeno. In molti luoghi i grandi serbatoi potrebbero essere sostituiti da impianti idroelettrici ‘alimentati dal fiume’, che prenderebbero l’energia dall’acqua che scorre senza doverla imprigionare con le dighe. L’era dell’idrogeno potrebbe essere più vicina di quanto pensiamo. Di sicuro, la strada da percorrere si sta lentamente delineando. Ma chi la affronterà per primo? In questo momento, sta scaldando il motore il paese che ha una delle maggiori riserve idroelettriche del mondo. La coraggiosa Islanda.

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