Stragi USA: Nigrizia, ‘agnelli e lupi New York’


Dove stanno gli agnelli e dove i lupi? La violenza che abbiamo visto colpire
gli Stati Uniti, con il suo carico di vittime innocenti, ha spinto molti a
tracciare schieramenti definiti e definitivi: da una parte l’Occidente
democratico [e cristiano], dall’altra il Male, impersonato da centrali
terroristiche che si avvalgono delle complicità di stati autocratici [e
islamici]. Invece, attraversato il tempo del pianto e dell’orrore, ancor
prima che il risentimento sia superato, bisogna trovare la forza di dare
alla domanda una risposta più appropriata. I terroristi che hanno concepito,
finanziato ed eseguito gli attentati dell’11 settembre sono predatori che
puntano ad imporre una logica di guerra. La sola logica che consentirebbe
loro di propiziare la radicalizzazione di regimi più o meno moderati
[pensiamo ad Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Pakistan] e di
creare un blocco antioccidentale là dove oggi si manifestano posizioni
politiche e distanze diverse. Una cosa sono gli atteggiamenti
filo-occidentali di Indonesia, Tunisia e Marocco, un’altra le frizioni con
gli Usa di Iran, Siria, Sudan e Libia, un’altra ancora sono i toni e le
scelte messe in campo da Afghanistan e Irak. Va da sé che questi predatori,
lungi dal rappresentare i diseredati del mondo, sono invece dei competitori
politici che hanno nel mirino la destabilizzazione di molti dei regimi
citati. E certo fanno leva anche sulle frustrazioni create dai divari e
dalla miseria, dalla questione palestinese e soprattutto sul fatto che
l’opinione pubblica islamica si sente minacciata dall’avanzare del ‘pensiero
unico occidentale’ – perciò non esitano a strumentalizzare i sentimenti
religiosi. I cittadini occidentali chiedono giustizia e sicurezza. Bisogna
rispondere che chi auspica azioni belliche in grande stile o ricalca le
logiche dei terroristi o tenta di scongiurare la recessione o entrambe le
cose. Mentre la giustizia si può ottenere con strumenti di investigazione e
giudiziari, e con operazioni di polizia internazionale, in grado di
individuare i colpevoli e di portarli in giudizio: sarebbe una scelta
all’altezza del miglior Occidente, quello delle libertà collettive e
individuali, quello dei diritti umani. La sicurezza richiede non massicci
investimenti in armi, ma al contrario l’impiego di risorse nello sviluppo,
nelle organizzazioni, Onu in testa, che agevolano il dialogo, nell’incontro
interculturale. Tutto ciò, manco a dirlo, presuppone una politica non
appiattita sugli imperativi economici. Perciò i cittadini occidentali si
devono anche interrogare sulla cultura predatoria che l’Occidente spesso
propone, una cultura per la quale il profitto è sempre legittimo [chi ci
garantisce che i mezzi finanziari dei terroristi non siano gestiti in
qualche paradiso fiscale o all’ombra del segreto bancario in qualche
rispettabilissimo stato occidentale?], una cultura messa in discussione dal
vasto movimento nonviolento che critica questa globalizzazione, una cultura
così frequentemente dimentica di quei valori cristiani di cui si dice
impregnata. Oggi più che mai è decisivo fermarsi a riflettere sul declino
della cultura politica e sull’impotenza della politica. E sul bisogno che la
buona politica ritrovi al più presto il suo ruolo centrale. Prima che agli
agnelli non resti che farsi lupi. © [NIGRIZIA]

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